Sante Messe in rito antico in Puglia

mercoledì 31 dicembre 2014

Te Deum


Te Deum laudámus: *
te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem,
* omnis terra venerátur.

Tibi omnes ángeli,* 
tibi cæli et univérsæ potestátes:
tibi chérubim et séraphim *
incessábili voce proclamant:
Sanctus, * Sanctus, * Sanctus *
Dóminus Deus Sábaoth.

Pleni sunt cæli et terra *
maiestátis glóriæ tuae.
Te gloriósus *
Apostolórum chorus,
te prophetárum *
laudábilis númerus,
te mártyrum candidátus *
laudat exércitus.

Te per orbem terrárum *
sancta confitétur Ecclésia,
Patrem * imménsæ maiestátis;
venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.

Tu rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Filius.
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem, *
non horruísti Virginis úterum.
Tu, devícto mortis acúleo, *
aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Iudex créderis * esse ventúrus.

Te ergo, quæsumus, tuis fámulis súbveni, *
quos pretióso sánguine redemísti.
ætérna fac cum sanctis tuis * in glória numerári.

Salvum fac pópulum tuum, Dómine, *
et bénedic hereditáti tuæ.
Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum.

Per síngulos dies * benedícimus te;
et laudámus nomen tuum in sæculum, *
et in sæculum sæculi.
Dignáre, Dómine, die isto *
sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, *
miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, *

quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: *
non confundar in aeternum.

Oremus.

Deus, cujus misericordiæ non est numerus, et bonitatis infinitus est thesaurus: + piissimæ maiestati tuæ pro collatis donis gratias agimus, tuam semper clementiam exorantes; * ut, qui petentibus postulata concedis, eosdem non deserens, ad præmia futura disponas. Per Christum Dominum nostrum. R/. Amen.






A Lui appartengono il tempo, la storia ed ogni potestà

Van Egmont Justus, detto Juste d'Egmont, Luigi XIII di Francia ed Anna d’Austria offrono il regno alla Vergine ed al Bambino Gesù, 1639, musée du Louvre, Parigi

De Ritu servando in Ultimo Anni Die


“Hoc Pontífice hábitum est Concílium Nicænum primum, ubi … sancta et cathólica fides explicáta est, Arío ejúsdem sectatóribus condemnátis …” (Lect. V – II Noct.) - SANCTI SILVESTRI I PAPÆ ET CONFESSORIS

Oggi la Stazione si radunava sulla via Salaria, nella basilica di San Silvestro sul cimitero di Priscilla, ove, secondo la Depositio Episcoporum del 354, il grande Pontefice dei trionfi e della pace della Chiesa riposava accanto ai martiri Felice e Filippo, del gruppo dei figli di santa Felicita, ed a poca distanza dal papa Marcello e dal martire Crescenzione.
San Gregorio Magno vi pronunciò una delle sue quaranta omelie nel suo giorno natalizio (San Gregorio Magno, Homilia IX, in Id., XL Homiliarum in Evangelia libri duo, in PL 76, col. 1105B-1109C, in cui commentò al popolo il passo di Mt 25, 14-30); di più, durante molti secoli, questo luogo fu la meta di pii pellegrini che visitavano i luoghi santi di Roma.
San Silvestro fu uno dei primi santi a cui fu reso un culto pubblico, sebbene non fosse un martire, ma solamente confessor a Domino coronatus, a causa del suo esilio nelle caverne del monte Soratte, sebbene fosse stato anche accusato ingiustamente di apostasia e di sacrilegio durante le persecuzioni. Vi accenna sant’Agostino, il quale ricorda come i presbiteri Silvestro, Milziade e Marcello, sotto il papa Marcellino, fossero stati accusati – da parte degli eretici donatisti – di avere consegnato i libri sacri e di avere offerto incenso per aver salva la vita, scagionandoli, ritenendo l’accusa priva di prove (cfr. Sant’Agostino, De unico baptismo contra Petilianum. Ad Constantinum. Liber unus, cap. XVI, § 27, in PL 42, col. 610A). Vi si trova un’ulteriore menzione in una lettera del Sinodo romano del 378, sotto papa Damaso, inviata agli imperatori Graziano e Valentiniano: « ... Nam et Sylvester papa a sacrilegis accusatus, apud parentem vestrum Constantinum causam propriam prosecutus est ...» (Concilio Romano, Epistola Ad Gratianum et Valentinianum Imperatores, § 11, a. 378 o 381, in PL 13, col. 583A), con la quale missiva si riconosceva l’imperatore quale giudice supremo e solo competente a giudicare il vescovo di Roma.
Il titolo prope martyribus, unito alle sue straordinarie virtù personali, ed al fatto che inaugurò per la Chiesa un’era nuova di splendore e di prosperità, servì a circondare la fronte di Silvestro dell’aureola dei beati, in modo che il suo nome divenne celebre anche nel lontano Oriente.
Al merito di questo grande Papa va ascritta la conferma dell’μοούσιος di Nicea, al cui concilio non poté parteciparvi – stando ad Eusebio – per la sua età avanzata («Aberat quidem regiæ urbis antistes ob senilem ætatem: sed præsto erant presbyteri qui vices ejus implerent»: Eusebio di Cesarea, De vita Beatissimi Imperatoris Constantini libri quatuor, lib. III, cap. 7, § 2, in PG 20, col. 1061B-1062B, ora in Id., Vita di Costantino, con introduzione, trad. e note di Laura Franco (a cura di), Milano 2009, pp. 254-255).
La leggenda non mancò di cogliere e sfruttare la personalità del grande Pontefice: fu così che egli divenne lo sterminatore di famosi draghi, che infestavano l’aria col loro soffio; simbolo strano, ma molto espressivo, della vittoria della Chiesa sull’idolatria pagana.
In particolar modo gli Acta Sancti Silvestri raccontano che il papa avrebbe ammansito, con l’invocazione alla Vergine, un feroce drago, che abitava una caverna sul Palatino nei pressi di un laghetto stagnante. Quest’animale, col suo alito pestifero, era in grado di uccidere tutti gli abitanti della zona e coloro che vi si trovavano a passare nelle vicinanze. Alla fine, papa Silvestro, che aveva già sconfitto una belva simile a Poggio Catino, si recò sul luogo armato solo di una croce. Alla vista della croce e con l’invocazione alla Vergine, il papa riuscì ad ammansirlo ed a legarlo, come un cagnolino, ad una corda (o filo della sua veste), portandolo al guinzaglio al cospetto dei fedeli, che lo uccisero. Trascinato il corpo al Foro romano, fino al tempio di Castore e Polluce, fu qui sepolto. Qui, nelle sue vicinanze, il nostro santo Pontefice fece erigere una chiesa dedicata a Santa Maria Liberatrice, o Sancta Maria libera nos a pœnis inferni, che, però, in realtà, risaliva al XIV sec. (Cfr. Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, pp. 527-529; Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio evo, Firenze 1927, pp. 339-340. L’Armellini ricorda come la leggenda abbia un senso storico preciso, attribuendosi a questo papa la cessazione del culto di Vesta e del dragone effigiato con lei: Armellini, op. cit., p. 527).
Il sacramentario di Verona offre una messa di san Silvestro alla fine di ottobre e dopo le messe per i defunti. Nelle orazioni si prega il Signore di accordargli la felicità eterna tra i santi pastori. Nel VII sec., l’evangeliario del 645 ed il sacramentario gregoriano contengono il formulario della sua festa al 31 dicembre. Segnato dallo sviluppo della Chiesa all’indomani della pace costantiniana, contemporaneo del Concilio di Nicea, il lungo episcopato di Silvestro (314-335) ha lasciato un ricordo profondo in Oriente. Anche i Bizanini, i Siriaci ed i Copti, lo celebrano il 2 gennaio come san Silvestro, papa di Roma (Pierre Jounel, Le Culte des Saints dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle, École Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 331).
Roma cristiana ha dedicato molte chiese a san Silvestro. Tra le numerose, merita una menzione quella di San Silvestro de Capite o Kata Pauli o inter duos hortos, eretta da papa Paolo I (758-762) sul sito della sua propria dimora, che vi affiancò un monastero, ed originariamente dedicati ai Santi Stefano e Silvestro (Ibidem, pp. 296-299; Huelsen, op. cit., pp. 465-467). Un oratorio, inoltre, dedicato al nostro santo Papa, era stato fondato da papa Teodoro (642-649), all’interno del Patriarchium del Laterano e che fu demolito da Sisto V per la fabbrica del nuovo palazzo lateranense (Armellini, op. cit., p. 104; Huelsen, op. cit., p. 467). In quest’oratorio, la domenica delle Palme avveniva la distribuzione delle palme al popolo.
Un’ultima chiesa merita una menzione: quella dei Santi Silvestro e Martino ai Monti. Quest’edificio, fondato pare dallo stesso papa Silvestro su un suolo donato da un esponente della famiglia degli Equizi (da qui il nome di Titulus Equitii) (Armellini, op. cit., pp. 214-217; Huelsen, op. cit., pp. 382-383), è particolarmente importante in quanto in esso si tenne un’assise preparatoria del primo concilio di Nicea ovvero un sinodo contro gli eretici Ippolito, diacono, Callisto e Vittorino (o Vittorio di Aquitania) vescovo, nel 324 (o anche un decennio prima) (Cfr. Armellini, op. cit., p. 214). In questa chiesa era la stazione del giovedì della IV settimana di Quaresima.
Nel Medioevo, san Silvestro fu guardato come il rappresentante simbolico del Pontificato romano e glorioso capo della fila di una serie di Pontefici-re, che perpetuarono a Roma l’ideale monarchico universale, riva eterna dell’Urbs æterna. Si poteva quasi guardarlo come il fondatore della dinastia dei Papi-Sovrani: fu per questo che la sua memoria fu associata sin da subito alla famosa, ma apocrifa, donazione costantiniana ed alla prima costituzione dello Stato pontificio.
Durante lunghi secoli, la memoria di Silvestro rimase in grande onore, non solamente a Roma, ma ovunque. La sua festa fu considerata come di precetto, anche per questa ragione, essa coincide con l’ultimo giorno dell’anno civile ed oggi ancora incombe sui pastori d’anime l’obbligo di offrire il divino Sacrificio per il loro gregge in onore del santo Papa. Secondo gli Ordines Romani, il Papa interveniva alla messa di san Silvestro, la fronte cinta dalla tiara (nel catalogo di Pietro Mallio si ricordano tra le festività nelle quali il papa era coronato di tiara quella di san Silvestro: Pietro Mallio, Excerpta ex libro Petri Mallii canonici sancti Petri ad Alexandrum III, cap. XXVII, De festivitatibus, in quibus dominus papa coronabatur, in PL 78, col. 1057B), come nei giorni solenni, ed egli accordava la vacanza al concistoro («Quandoque tamen post Circumcisionem vocatur die cardinales ad consistorium, non ad negotiandum, sed ad revidendum, si placet domino papæ. ... In die Circumcisionis Domini non fit consistorium. ... Item in festo sancti Silvestri non fit consistorium»: Ordo Romanus XIV, § CI. In quibus diebus et solemnitalibus consueverunt Romani pontifices a consistoriis abstinere, ivi, col. 1226B, 1228B e 1231B).
Dal 1960, di questo Pontefice si fa solo una mera commemorazione durante l’Ottava di Natale.

Pomarancio, Papa Silvestro battezza Costantino, Battistero di San Giovanni in Laterano, Roma



Raffaello Sanzio, Battesimo di Costantino, 1520-24, Stanza di Constantino, Palazzi Pontifici, Vaticano


Raffaello Sanzio, La Donazione di Costantino, 1520-24, Stanza di Constantino, Palazzi Pontifici, Vaticano


Artista italiano sconosciuto, Donazione di Costantino, XIII sec., Chiesa dei Santi Quattro Coronati, Roma

Giovanni Lanfranco, S. Silvestro doma il drago, 1628

Sebastiano Conca, Battesimo di Costantino, 1709, Pinacoteca civica, Teramo

Giovanni Maria Viani, S. Silvestro papa, XVII sec., Museo diocesano, Bologna

martedì 30 dicembre 2014

In preparazione al solenne Canto del Te Deum, quando si apprezzava la solennità .....




Cos'è il Te Deum?

Why “Mass of Catechumens” makes better sense than “Liturgy of the Word”

Interessante contributo dal consueto blog New Liturgical Movement.

Why “Mass of Catechumens” Makes Better Sense Than “Liturgy of the Word”

PETER KWASNIEWSKI

Master of Portillo, Mass of St Gregory
It is well known that the Novus Ordo Missae divides the Mass into four parts: the Introductory Rites; the Liturgy of the Word; the Liturgy of the Eucharist; and the Concluding Rite. It is perhaps less known among Catholics today that this is a modern schematic and that the much more ancient distinction—still found in the traditional Latin Mass—is between the Mass of the Catechumens and the Mass of the Faithful. As we bask in the effulgence of the Incarnate Word, it would be well to reflect on why this ancient way of speaking is superior to the modern way.
The central and definitive “word” is Jesus Christ, the Logos or Verbum of the Father, made flesh for us men and for our salvation. It follows that the liturgy of the Word par excellence is the Holy Eucharist itself. To go further, the liturgy of the Word, in the fullest sense, must be the Eucharistic sacrifice, because in this sacrifice the Word which is “spoken” by the Father is offered back to Him, thanks to His human nature, in a perfect self-offering—and this oblation of Christ on the cross is the sole reason we ourselves can receive, can be made “hearers of,” the word of God in nature and in divine revelation. If, instead, one appropriates “word” to the Bible, then this portion of public worship, in terms of the phenomenology of the Mass, risks becoming an equal to the Eucharist, if not its superior.
The verbum Domini or Word of the Lord is the Logos, Jesus Christ Himself. Verbum caro factum est, et habitavit in nobis. It also refers to the “word” (in the idiomatic sense of that which summarizes: “in a word…”) of consecration, which is the mystery of faith, mysterium fidei. Christ, above all, is this mysterium fidei; all other sacred mysteries are such because of their being rooted in Him or flowing from Him. The Church is a mysterium because she is united to Christ, the great mystery, magnum mysterium. Through the consecration, we are taken from the promise of revelation (the Mass of Catechumens) to the Real Presence (the Mass of the Faithful)—a transition from verbum (in the ordinary sense of something spoken) to res (in the sense of the thing signified by word).
The problem, then, with the phrase “Liturgy of the Word” is that the Word, as such, is fully and really present only in the Liturgy of the Eucharist, when the Word Himself is personally present in His divinity and glorified humanity. The sign of the difference is that, while we offer incense to the Gospel in honor of Him whose Gospel it is, it would be sinful for someone to bow down and adore the lectionary, placing his faith and trust in it, and loving it above all things, whereas it is precisely this adoration or latreia that must be given to most holy Eucharist; indeed, as Saint Augustine says (and Benedict XVI often quotes him to this effect), we would be guilty of sinning were we not to adore It.
A Protestant confusion is thus introduced and subtly fostered. According to the Catholic faith, “God’s Word” is chiefly and primarily in the Holy Eucharist because it is Jesus Christ, and only secondarily in the Sacred Scriptures that contain His teaching and bear witness to Him. Like all mere signs, Scripture will pass away in heaven, as the Book of Revelation teaches: “I saw no temple in the city, for its temple is the Lord God the Almighty and the Lamb. And the city has no need of sun or moon to shine upon it, for the glory of God is its light, and its lamp is the Lamb” (Rev 21:22-23). Like all mere signs, it is only for the wayfarer. In Protestant churches, one often sees the Bible sitting up on the main altar, where the tabernacle ought to be, as though at the center of Christianity were a book, something written in lifeless letters on lifeless paper; such an architectural arrangement expresses the very essence of the Protestant heresy, where words replace the Word in His living and life-giving flesh and blood. The Novus Ordo structure follows, in a sense, this verbalistic architectural schema, which makes it more understandable that in Catholic churches all over the world the tabernacle was removed from the center and placed off to the side, usually not in a place of great honor.
No one could have appreciated more than the Jewish Christians of the early Church how vast and profound a change was inaugurated by Christ in the New Covenant. It might seem logical, then, that they should discard the old forms of worship (the old wineskins, as it were) in favor of new ones. But nothing of the sort happened; the Christian worship grew organically out of the pre-existent Jewish worship. When the Christians began to worship exclusively in their own communities, no longer visiting the synagogue for the service of readings, they nevertheless kept and fostered the Jewish traditions in their own Eucharistic worship. The very fact that the Christians saw in the Holy Eucharist the fulfillment of what the Jews read about in their Scriptures indicates that the liturgical connection was understood to be much deeper than merely two back-to-back segments of ritual, one pertaining to “books” and the other to “sacrament” or “mysteries.” From a Patristic perspective, the division of “Mass of the Catechumens” and “Mass of the Faithful” renders the relationship far more accurately: the catechumens are those who, whether Jew or Gentile, remain on the outside of the fold but are approaching entrance to it, whereas the faithful are those who have embraced Jesus Christ as their Lord in the mysteries of initiation and can now, entering into the Holy of Holies, reap the fruits foretold in the Scriptures that are read aloud to everyone (including the catechumens).

The Temple of Solomon

The tradition teaches us continuity, not rupture and discontinuity, even in the midst of the most radical religious shift the world has ever seen within one religious tradition: from the Mosaic law to the grace of Christ, from the Torah to the Cross, from the many sacrifices of the Old Covenant to the one all-holy and all-sufficient sacrifice of the New Covenant. It was a transition not from letter to spirit, but from a cosmic catechumenate to an eternal fidelity, from one Mass to another Mass—or rather, a seamless transition from the outer chamber of expectant preparation to the inner chamber of loving communion.
How strange it is that, in so many respects, the attitude and decisions of those who replaced the organically developed Roman liturgy with a committee-generated fabrication treated the preceding form of Catholic worship as more foreign than the early Christians had treated the worship of the Israelites! Perhaps it is no more strange than the general loss of a sense of obligation or bond to God’s revelation of Himself in the past. We would rather have our own creation from our own time period than something handed down to us by our ancestors. Needless to say, this mentality is profoundly unscriptural, untraditional, unecclesiastical. One may wonder if it is not ineluctably bound up with the Hegelian (or Teilhardian) model of inexorable historical progress through the constant overcoming of the given, as we all march towards Absolute Spirit. But this way madness lies.
The Incarnation is the pivotal point, not the present moment; and the Christ who is the same yesterday, today, and forever, who has been given to us in the apostolic rites of the Church, is the measure of our doctrine and practice—not our own sociological models or theoretical constructs.

lunedì 29 dicembre 2014

Commemoratio sancti David, regis et prophetae

Gerrit van Honthorst detto Gherardo delle Notti, Re Davide con l'arpa, 1622, Centraal Museum, Utrecht

Dal film "David and Bathsheba" (Davide e Betsabea) del 1951 diretto da Henry King, con Gregory Peck nei panni del Re Davide e Susan Hayward nei panni di Betsabea. Ecco qui di seguito alcuni spezzoni del film (ahimé solo in inglese):




L’Anticristo e la profezia di Vladimir Soloviev

L’ANTICRISTO E LA PROFEZIA DI VLADIMIR SOLOVIEV
Ma se proprio vuoi una regola, ecco cosa ti posso dire: sii saldo nella fede, non per timore dei peccati, ma perché è molto piacevole per un uomo intelligente vivere con Dio [Vladimir Sergeevič Solov’ëv, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo]

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

una splendida immagine fotografica
di San Giovanni Paolo II
Durante la sua seconda visita apostolica in Germaia, San Giovanni Paolo II disse nel lontano 1984: «… oggi il mondo sta vivendo il XII capitolo del Libro dell’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni». Affermazione che dovrebbe indurci ad un preciso quesito: se il Santo Pontefice si esprimeva trent’anni fa a questo modo, oggi, in quali termini si esprimerebbe? Come però i fatti dimostrano, pare che da un po’ di tempo a questa parte gli Augusti Pontefici è più facile proclamarli santi e beati anziché ascoltarli e seguirli, venerando in essi e nel loro sommo magistero il mistero ed il dogma di fede del mandato conferito dal Verbo di Dio a Pietro [cf. Mt 16, 14-18]. È infatti noto e risaputo: fare una bella cerimonia di canonizzazione in fondo non costa niente. Come non costa mettere in piedi fondazioni dedicate a San Giovanni XXIII, a San Giovanni Paolo II, al Beato Paolo VI. Qualche banca con un consiglio di amministrazione composto da massoni sempre lieti di foraggiare a botte di soldi la spocchia incontenibile di qualche vescovo e cardinale, allo scopo di colpire e di distruggere quanto meglio possibile la Chiesa da dentro, in giro per l’Italia si trova sempre, ciò che paiono invece scarseggiare sono vescovi e cardinali che facendosi carico di tutti i pericolosi rischi del caso accettino di essere linciati dalla piazza non più disposta ad ascoltare e recepire certi messaggi evangelici. O peggio: ad essere dilaniati all’interno dello stesso mondo ecclesiale per avere invitato l’esercito sempre più fitto di modernisti e di apostati a mettere in pratica ciò che certi santi e beati pontefici esortano a praticare attraverso gli atti del loro magistero, scritto per la gloria di Dio e per la salvezza dell’uomo, non per la gloria dell’uomo, che di secolo in secolo è capace di usare come pretesto Dio, la sua Chiesa e tutti i suoi Santi per la propria vanità.
Cliccare sopra l’immagine per ascoltare
l’atto di rinuncia del Sommo Pontefice
Benedetto XVI con traduzione del testo latino
Oggi che abbiamo sofisticati mezzi di comunicazione in grado di trasmettere immagini in tempo reale, il ricordo della cerimonia di beatificazione, poi quella di canonizzazione di Giovanni Paolo II, dovrebbe indurre a riflettere, perché mai s’erano visti sino a prima tutti i principali responsabili della condizione di degrado in cui oggi versa la Chiesa di Cristo immortalati dalle televisioni internazionali come stars a quello che loro stessi chiamavano «grande evento», intrisi di mondano clericalese e privi ormai di adeguati linguaggi ecclesiali. A festeggiare il nuovo beato e santo pontefice hanno così sfilato, in rosso e violaceo sulle passerelle d’onore, anche tutti coloro sui quali incombe la responsabilità d’aver gettato la Sposa di Cristo sul marciapiede come una prostituta. Gli stessi a causa dei quali il Sommo Pontefice Benedetto XVI farà atto di rinuncia al ministero petrino pochi anni dopo, dichiarando di non essere più in grado, per età e per mancanza di forze fisiche, di reggere certe situazioni, che in altre parole equivale a dire: l’incapacità di far fonte a certe persone, posto che “situazioni” — semmai a qualcuno sfuggisse — vuol dire “persone”, ossia coloro che siffatte situazioni le hanno generate e che tutt’oggi le reggono in piedi facendo uso del peggiore autoritarismo e delle peggiori vessazioni verso coloro che osano denunciare il male solo perché desiderano risollevare la propria amata sposa dal marciapiede dove questi scellerati l’hanno gettata, non certo per l’inutile piacere di denunciare il male fine a se stesso.
Lapidazione di Santo Stefano, opera pittorica del XVI sec.
Alla cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II, per reale paradosso legato come tale a quel mistero del male che ci insidia sin dall’alba dei tempi, in pratica s’è assistito a questo: … come se coloro che avevano assassinato il diacono Stefano a colpi di pietre [Cf. At 6, 8-12; 7, 54-60], pochi anni dopo lo avessero dichiarato protomartire, partecipando primi avanti a tutti alla sua cerimonia di beatificazione e magnificando a giornali, televisioni e ad un nugolo di vaticanisti privi di memoria storica, la eroicità delle sue virtù. E pensare che molti romantici sono convinti che le meretrici esercitano il proprio antico mestiere dentro i lupanare e non certo dentro i palazzi ecclesiastici. Io che però sono sacerdos in aeternum e che sono nato col peccato originale lavato dal Battesimo al quinto giorno di vita, le cose tendo a vederle in altro modo, forse con meno romanticismo e più realismo, anche per quanto riguarda l’esercizio dell’antico mestiere del meretricio, un mestiere tanto diffuso quanto trasversale …
ritratto di Vladimir Sergeevič Solov’ëv
[Mosca, 16 gennaio 1853 – Uzkoe, 31 luglio 1900]
Solov’ëv è scomparso all’alba del Novecento, secolo nel quale s’era affacciato dopo aver vissuto i travagli dell’Ottocento e profetando il futuro che si sarebbe aperto; un futuro fatto di tanti “ismi“: filosofismi, liberalismi, modernismi, comunismi, psicanalismi, sociologismi, teologismi … Egli si colloca quindi nel mondo della belle époque, in anni in cui l’uomo era certo del sorgere di un mondo felice, ispirato dalle nuove grandi spinte di un progresso tecnologico che giunge talora a vere e proprie forme di idolatria della tecnologia; una tecnologia in nome della quale spesso, il pensiero moderno, ha cercato di sfrattare l’idea stessa di Dio dalla società contemporanea. Il tutto all’ombra orientata e ispirata dalla nuova religione del progresso, del principio evangelico di carità divenuta mecenatismo svuotato di sentimenti e di sostegni metafisici, in un mondo sicuro di marciare verso una èra illuminata dalla libertà di una nuova sicurezza sociale.
Una copia d’epoca del New York Times
che annuncia il disastro del Titanic
Nel primo decennio del Novecento il mondo fu toccato da un episodio che scosse l’opinione pubblica: l’affondamento del Titanic inabissatosi alle ore 2.20 nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912 in acque temperate attorno a zero gradi. Di 2.223 passeggeri 1.523 persero la vita morendo per assideramento. Tutti erano provvisti di salvagente ed avrebbero potuto salvarsi grazie ai soccorsi, che quando giunsero poterono solo raccogliere centinaia di corpi che galleggiavano nelle acque gelide. Questo disastro, considerato il più grande nella storia della navigazione, ha prodotto una copiosa letteratura, alla quale s’è poi unita la cinematografia.
cliccare sopra l’immagine per vedere il filmato del relitto
Il Titanic fu a suo modo espressione di un uomo certo di dominare sulle leggi della natura; invincibile e sicuro di dare vita a cose indistruttibili, inattaccabili. C’è poi un forte elemento simbolico, per dirla con un celebre maestro e col suo celebre allievo divenuti poi avversari: Sigmund Freud e Carl Gustav Jung: il ghiaccio. Questo titano inaffondabile e invincibile creato da un uomo auto proclamatosi altrettanto invincibile, non è colpito dalla calda passione del sole ma dal ghiaccio, dal gelo al quale aveva iniziato a dare vita l’uomo moderno che può fare a meno di Dio. E mentre i maestri del moderno pensiero spingevano i locomotori verso barriere di ghiaccio, Solov’ëv non si lascia ammaliare e preannunzia in modo lucido e profetico i mali che sarebbero nati dalle metastasi che l’uomo stava mettendo in circolo; mali che poi, alla concreta prova dei fatti, ad uno ad uno si sono avverati.
Lenin e Stalin, dipinto sovietico degli anni Cinquanta
Discorrendo nel 1880 sul Secondo discorso sopra Dostoevskij, sembra quasi che Solov’ëv intuisca le brutalità del Comunismo che dopo la Rivoluzione di Ottobre del 1917 principieranno a ripercuotersi sull’umanità, dando al mondo un assetto del tutto diverso dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. L’uomo viene spersonalizzato nel progetto sociale e politico del Socialismo Reale, divenendo da protagonista biblico dell’umanità creata a immagine e somiglianza di Dio, anonimo ingranaggio vittima di una ideologia creata a immagine e somiglianza di un uomo socialmente e umanamente corrotto, attraverso il quale si giungerà ai noti processi di disumanizzazione portati avanti da Lenin e soprattutto da Stalin.
Statua a San Michele Arcangelo
eletto protettore della Città del Vaticano,
voluta dal Sommo Pontefice Benedetto XVI
e poi collocata nei pressi del
Palazzo del Governatorato,
con la scritta sottostante a Lucifero trafitto dalla lancia:
Et portae Inferi non praevalebunt“…
Nella sua ultima pubblicazione, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, opera compiuta la domenica di Pasqua del 1900, è impressionante rilevare la chiarezza con cui Solov’ëv prevede che il secolo XX sarà l’epoca delle ultime grandi guerre, delle discordie intestine e delle rivoluzioni [Cf. Ed. Marietti pag. 184]. Dopo di che afferma che tutto sarà pronto perché perda di significato la vecchia struttura in nazioni separate e quasi ovunque scompaiano gli ultimi resti delle istituzioni monarchiche [pag. 188]. Si arriverà così alla Unione degli Stati Uniti d’Europa [pag. 195]. È invero stupefacente la perspicacia con cui Solov’ëv descrive la grande crisi che colpirà il Cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento, raffigurata attraverso l’Anticristo che riuscirà ad influenzare e condizionare un po’ tutti. In lui, come qui è presentato, non è difficile ravvisare l’emblema della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni: egli — seguita a narrare Solov’ëv — sarà un convinto spiritualista, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo. Sarà, tra l’altro, anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea honoris causa della facoltà di Tubinga. Soprattutto, si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza [pag. 211]. Nei confronti di Cristo non avrà un’ostilità di principio [pag. 190]; anzi ne apprezzerà l’alto insegnamento. Ma non potrà sopportarne — e perciò la censurerà — la sua assoluta unicità [pag. 190]; e dunque non si rassegnerà ad ammettere ed a proclamare che egli sia risorto e oggi vivo.
I Tre Dialoghi ed i Racconti dell’Anticristo
editi dall’Editrice Marietti
In queste righe prende forma la critica al Cristianesimo dei “valori”, delle “aperture” e del “dialogo”, dove pare rimanga poco spazio al mistero della Persona del Verbo di Dio fatto Uomo, crocifisso per noi e risorto. Tutto appare assorbito nelle melasse sentimentali delle tenerezze vaporose. Certo abbiamo di che riflettere, se pensiamo alla militanza di fede ridotta ad un’azione umanitaria di tipo socio-culturale; al messaggio evangelico identificato nel confronto irenico con tutte le filosofie e con tutte le religioni; alla Chiesa di Dio scambiata per un’organizzazione di promozione sociale nella quale si moltiplicano “eventi” costruiti su strategie di marketing. Siamo sicuri che Solov’ëv non abbia davvero previsto ciò che è effettivamente avvenuto e che non sia proprio questa l’insidia odierna più pericolosa per la “nazione santa” redenta dal sangue di Cristo? È un interrogativo molto inquietante che proprio per questo non dovrebbe essere eluso; ed invece proprio per questo viene rifiutato, a volte anche in modo violento, dentro la Chiesa e fuori dalla Chiesa.
talvolta si ha l’impressione che il mondo sul
baratro della follia sia troppo impegnato
a difendere i “diritti” alle peggiori perversioni
propinate dalla cultura del gender,
per volgere lo sguardo verso un
massacro di cristiani che negli ultimi anni
ha superato quello dei primi secoli di storia del Cristianesimo
 
Solov’ëv ha compreso a fondo il XX secolo, forse siamo noi che non abbiamo capito lui, o più semplicemente non vogliamo capirlo per una chiusura reattiva-difensiva, tanto da non avergli mai prestato ascolto. Lo dimostrano molti atteggiamenti odierni di numerosi cristiani che si reputano colti ed impegnati sul versante ecclesiale, o che si reputano “cristiani adulti”. Proviamo solamente a pensare alle forme sempre più esasperate ed esasperanti di individualismo egoistico determinanti i nostri costumi e le nostre leggi attraverso le quali è progressivamente sovvertito l’ordine naturale. Basta solo analizzare quella cultura del gender che sta assumendo sempre più i connotati di una devastante dittatura, con tanto di censure ai sensi di legge e di condanne dei tribunali a carico di soggetti riconosciuti rei di avere espresso attraverso la libertà di pensiero e di parola un pacifico dissenso, considerato però non più diritto alla libertà di pensiero e di parola bensì reato, se in qualche modo tocca la potente mafia sociale e politica dei sodomiti, che già in più Stati hanno imposto protocolli attraverso i quali si insegnano i “valori” delle peggiori perversioni sessuali sin dalle scuole elementari, camuffati sotto la falsa etichetta luciferina di “diritto alle diversità”. In certi Paesi della decadente Europa ammalata d’odio verso se stessa e verso le proprie radici cristiane che progressivamente si sta consegnando all’Islam, chi afferma che quella proprinata da certe potenti mafie di pederasti e di lesbiche incattivite è una venefica cultura di morte che ci porterà al collasso, come già accaduto nel corso della storia a molte antiche civiltà sprofondate dalla gloria alla totale decadenza e per questo spazzate via, finisce ormai condannato per omofobia. Per seguire col pacifismo spesso mutato in violento pacifondismo, con la non-violenza spesso mutata in aggressione ideologica intrisa di sprezzo verso gli altri. Gli ideali di pace e di fraternità non sono più letti in chiave evangelica ma illuministica e come tali strutturati sul furore giacobino, vale a dire in chiave ideologica anti-cristiana, col conseguente risultato che dinanzi alle aggressioni ed alle peggiori prepotenze i nostri non pochi pastori smidollati finiscono subito col cedere, corrono a trattare, o come Esaù svendono la legittima primogenitura per un piatto di lenticchie [Cf. Gen 25, 29-34], lasciando senza alcuna difesa i deboli e gli oppressi, in modo del tutto particolare se sono cattolici e cristiani perseguitati a causa della loro fede, dentro la Casa di Dio e fuori dalla Casa di Dio. 
In tutto questo si collocano certi potenti filoni della moderna teologia che dopo avere confuso il concetto metafisico di assoluto inteso come assolutezza della fede, col concetto socio-politico del tutto diverso di assolutismo, hanno proceduto ad una vera e propria de-costruzione e distruzione del dogma, dopo avere minato quel concetto di assolutezza della fede in virtù del quale Cristo è per noi il Verbo di Dio incarnato, morto è risorto, che come tale rappresenta il centro del nostro presente, del nostro essere e divenire futuro, quindi il fine ultimo escatologico del nostro intero umanesimo.
la nostra solidarietà cristiana
è racchiusa tutta nella suprema virtù teologale
della Carita del Verbo di Dio,
non nella solidarietà della Libera Muratoria
del Grande Architetto dell’Universo
Che dire della virtù teologale della Carità, la più importante, come la definisce San Paolo [Cf. I Cor 13,13], alla quale si è sostituito a poco a poco uno dei concetti più cari alla cultura massonica: la solidarietà? Detto questo non mi ripeto e mi limito a rimandare al mio articolo sulla neolingua, dove parlo delle parole svuotate del loro significato e riempite d’altro, il tutto sulla scia di un dramma odierno che pare a volte quasi irreversibile: abbiamo perduto il nostro vocabolario ed il nostro linguaggio, che è quello metafisico, per andare incontro non a parole nuove, ma a concetti senza senso che minano i fondamenti della nostra fede, che per esprimersi ha bisogno di chiare e precise parole [vedere qui].
Se non fossero chiari i risultati
della “mitica” rivoluzione sessuale
e della “liberazione” della donna,
ecco una pubblicità dell’azienda degli stilisti
Dolce&Gabbana nella quale
si simula lo stupro di una autentica
donna oggetto del XXI secolo,
figlia della donna finalmente “liberata”
quattro decenni prima
dal furore dei movimenti femministi
Il Novecento, dopo una rivoluzione sessuale che ha manifestato un tripudio di egoismo, che non ha liberato affatto la donna ma l’ha resa veramente “oggetto” più di quanto storicamente e socialmente sia mai stata e che ha scisso la sessualità dall’amore umano, è infine giunto a livelli tali di perversione istituzionalizzata da rendere difficile trovare adeguati eguali storici, persino andando a prendere a prestito le immagini di Sodoma e Gomorra, che però non rendono l’idea, soprattutto non rendono “giustizia” alcuna alla realtà del nostro presente.
Il Novecento è stato anche il secolo più oppressivo della storia, privo di rispetto per la vita umana e privo di misericordia; e certi istinti ormai in circolo da un secolo nel sangue delle nuove generazioni non si eliminano con inviti cinetelevisivi alla tenerezza, perché il lavoro che si richiede è molto più complesso, ma soprattutto più drastico, perché basato su un rischio che non si può evitare di correre: il non piacere alle masse ed alle elites di potere. Per non parlare della misericordia vera, quella correttamente intesa, recepita e praticata secondo il Mistero della Rivelazione, esposta e riassunta in numerosi passi dei Vangeli, prendiamone solo uno tra i diversi:
«Se il tuo occhio destro è motivo di scandalo cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna» [Mt 5, 29-30]
Se però all’interno della Chiesa contemporanea qualcuno è davvero convinto che dinanzi ad un corpo assalito da un devastante diabete degenerativo che ha generato una cancrena al piede, sia invece molto misericordioso non amputarlo, perché non è bene privare un essere umano di un arto, in tal caso è presto detto: ci si preparari alla inevitabile conseguenza della cancrena che da lì a breve assalirà anche tutti gli altri arti del corpo.
Il Novecento è stato il secolo che ha assistito allo sterminio degli ebrei, che non è stato il solo, anche se pochi ricordano il genocidio degli armeni a cavallo della prima guerra mondiale. Nessuno commemora le decine e decine di milioni di uccisi sotto il regime sovietico e pochi si avventurano a fare il conto delle vittime sacrificate nelle varie parti del mondo all’utopia comunista. Nel corso di questo secolo si è imposto a intere popolazioni l’ateismo di Stato, mentre nell’Occidente secolarizzato si è diffuso un ateismo edonistico e libertario, fino ad arrivare all’idea grottesca della “morte di Dio”.
Vladimir Sergeevič Solov’ëv
Solov’ëv è stato profeta e maestro inattuale e inascoltato, a lungo relegato nella letteratura visionaria. In realtà è stato un appassionato difensore dell’uomo schivo ad ogni filantropia. È stato un apostolo infaticabile della pace e avversario del pacifismo. Auspicò l’unità tra i cristiani e fu duramente critico verso ogni irenismo. Fu innamorato della natura ma totalmente distaccato dalle odierne infatuazioni ecologiche, o per dirla in breve: fu amico innamorato della Verità rivelata del Verbo di Dio e nemico ostile di ogni ideologia e di ogni socio-teologia pseudo religiosa. Queste sono le guide di cui oggi abbiamo estremo bisogno, assieme alla vera misericordia. Non abbiamo bisogno, né mai un corpo infetto da arti in cancrena sarà salvato con l’acqua distillata della vaporosa tenerezza, ma solo con la grande misericordia del bisturi …