Sante Messe in rito antico in Puglia

lunedì 30 settembre 2013

POPULUS SUMMORUM PONTIFICUM: intervista a Guillaume Ferluc, segretario generale del C.I.S.P.

da da pax-liturgique



Intervista a Guillaume Ferluc, segretario del Coetus Internationalis Summorum Pontificum, promotore del secondo pellegrinaggio Summorum Pontificum.

Dopo il successo a sorpresa dell’anno scorso, il popolo del Summorum Pontificum è in piena effervescenza per il nuovo pellegrinaggio che si svolgerà a Roma, dal 24 al 27 ottobre. Vi proponiamo questa settimana le parti più interessanti dell’intervista rilasciata dal segretario generale del pellegrinaggio alla rivista americana The Remnant, a conclusione della quale pubblichiamo un vademecum del pellegrino.

1) A che punto siete con l’organizzazione?
CISP: Abbiamo appena completato la stesura del programma con l’annuncio del celebrante della messa pontificale in San Pietro, sabato 26 ottobre alle 11: il cardinale Darìo Castrillón Hoyos che festeggerà proprio quel giorno il 61esimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. La presenza del card. Castrillón Hoyos in un tale giorno è una grande gioia ed un onore per tutto il popolo Summorum Pontificum. In veste di presidente della Commissione Ecclesia Dei, il Cardinale non si è risparmiato per i diritti dei fedeli e dei sacerdoti legati alla liturgia tradizionale ed ha accompagnato con grande entusiasmo e lealtà la promulgazione del motu proprio voluto da Papa Benedetto XVI. 
Come prima cosa, riguardo alla dinamica generale del pellegrinaggio, si può dire che quest’anno c’è una grande tranquillità nei confronti del Coetus da parte di tutti: pellegrini, religiosi e singoli istituti. L’anno scorso ad alcuni era parso che venissimo un po’ dal nulla per provare a rappresentare una nuova realtà, così, anche appartenendo alla stessa famiglia tradizionale, erano rimasti sorpresi. Lo stupore è stato anche forse dovuto al fatto che noi stessi non eravamo stati capaci di comunicare la nostra iniziativa efficacemente. Inoltre c’era stato poco tempo per preparare il pellegrinaggio. Quest’anno c’è una maggiore apertura da parte di tutti, almeno di tutti coloro che ritengono importante testimoniare la nostra fede cattolica, apostolica e romana – romana nel senso di manifestarla anche “ad Petri sedem, cum Petro et sub Petro”. Ovviamente ci sono anche delle resistenze, in particolare da parte di quegli ecclesiastici che vorrebbero approfittare della rinuncia di Benedetto XVI per rimandare la messa di San Pio V – mai abrogata! – nel dimenticatoio.

2) Oltre a mons. Athanasius Schneider, avrete come altro celebrante mons. Rifan, ordinario dell’Amministrazione apostolica San Giovanni Maria Vianney di Campos, nel Brasile: perché questa scelta? 
CISP: Vediamo in mons. Rifan una realtà che vorremmo maggiormente presente nella Chiesa, ossia un vescovo che ha come missione celebrare, insegnare, custodire la liturgia tradizionale della Chiesa e anche la facoltà e il dovere di ordinare preti secondo e per la forma straordinaria del rito romano. Per poter portare avanti la nostra pratica religiosa, poter andare a messa col rito tradizionale nelle nostre parrocchie, ci servono preti e dunque seminari che li formino e, di conseguenza, vescovi che li possano ordinare: siccome mons. Rifan è finora l’unico vescovo il cui impegno pastorale è proprio questo, ci sembrava ovvio averlo con noi.
Inoltre, posso dire che ci sono giunte ottime testimonianze delle recenti giornate mondiali della gioventù a Rio de Janeiro, dove mons. Rifan è stato incaricato della catechesi per i giovani di Juventutem, gruppo che basa il suo apostolato sulla liturgia tradizionale. La chiesa era gremitissima, i pontificali molto degni e le prediche sono state apprezzate.
Chi avrebbe mai potuto pensare solo fino a poco tempo fa che in Brasile centinaia di ragazzi potessero seguire per tre giorni prediche, messe e confessarsi con preti legati alla tradizione della Chiesa? E tutto questo con l’imprimatur ufficiale della Chiesa apostolica romana? Certo qualcuno potrebbe obiettare che era solo un vescovo su 300, ma è già un traguardo importante; anche il luogo era molto suggestivo: la chiesa assegnata per questa catechesi era l’antica cattedrale di Rio de Janeiro, un posto quanto mai carico di storia e di fede delle passate generazioni e quindi simbolicamente molto importante e significativo.
Le GMG illustrano in particolare quanto la liturgia tradizionale attiri i giovani. Perciò non possiamo rimanere nel nostro fortino ma dobbiamo andare incontro a tutti coloro che cercano una maggior solennità e una maggior sacralità nella loro vita di fede.

3) A questo proposito, è notizia recente che addirittura nella cattedrale di Helsinki è stata istituita una messa in rito straordinario con cadenza regolare, cui partecipano normalmente un’ottantina di persone, un numero enorme se si pensa che su quasi 6 milioni di abitanti, i cattolici finlandesi sono circa lo 0,2 – 0,3%.
CISP: Un’altra prova a testimonianza della crescita della forma straordinaria del rito romano è che di anno in anno aumentano i novelli sacerdoti che scelgono di celebrare la loro prima messa nella forma straordinaria: non solo quelli degli istituti tradizionali legati all’Ecclesia Dei, ma anche quelli formati nei seminari diocesani. Ad esempio, nello scorso mese di giugno, per la prima volta in Croazia, un sacerdote diocesano dei dintorni di Zagabria ha scelto di celebrare la sua prima messa secondo il rito tradizionale. È un modo per tanti preti di affermare la loro appartenenza a quella che potremmo chiamare la “generazione Benedetto XVI”, così come si è parlato di una “generazione Giovanni Paolo II”. Questa generazione di papa Benedetto potremmo anche chiamarla “generazione Summorum Pontificum”.
Dall’anno prossimo poi i seminaristi che verranno ordinati saranno per la stragrande maggioranza giovani entrati in seminario successivamente alla promulgazione del Summorum Pontificum. E anche qui sono convinto che vedremo un’ulteriore crescita della liturgia tradizionale. Ovviamente speriamo che questi preti potranno avvalersi del diritto loro conferito di celebrare nelle loro parrocchie la messa secondo il messale del Beato Giovanni XXIII.
Vi è da aggiungere anche la bella scelta fatta da tanti sacerdoti ordinati dagli istituti dell’Ecclesia Dei di celebrare una prima messa nella loro parrocchia o diocesi di origine. Penso per esempio al novello sacerdote don Massimo Botta della Fraternità San Pietro che ha celebrato la sua prima messa il 23 giugno 2013 nella cattedrale di Velletri, riportandovi una liturgia non più celebrata da quarant’anni.

4) Quale potrebbero essere secondo lei le sfide per il mondo tradizionale rappresentate dal nuovo pontificato?
CISP: Noi siamo convinti che la storia della Chiesa non è finita nel 1962, così come non sia finita con il pontificato di papa Benedetto. Il nuovo pontificato di papa Francesco forse ci invita a una riflessione su quanto la liturgia e la tradizione della Chiesa non siano solo di un piccolo gruppo, di un’elite, come equivocato da molti.
Si potrebbe anche sostenere, seguendo l’appello di papa Francesco, che la liturgia tradizionale della Chiesa, con tutto il suo splendore che ci manifesta la presenza di Dio, è in realtà una liturgia che ci porta all’umiltà. Nella liturgia tradizionale, l’actuosa participatio dei fedeli è una partecipazione umile, fatta di silenzio, di adorazione, d’inginocchiarsi, di suppliche, di ringraziamenti: tanti atteggiamenti che non sono molto diversi dall’uomo in difficoltà che chiede aiuto, della persona che soffre. E non dimentichiamo che tra i grandi Santi sacerdoti tanti sono stati semplici parroci – diciamo – di campagna, nel senso che erano strettamente a contatto con le classi più umili della nazione, a cominciare dal santo Curato d’Ars, da don Orione o da Padre Pio. Comunque anche se questi Santi parroci davano la massima solennità alla liturgia, si trattava sempre di una liturgia che coinvolgeva tutti, dal contadino alla casalinga, persone che non avevano di certo studiato il latino alla Sorbona o in chissà quali altre scuole di grande cultura, ma che si sentivano parte integrante di questa liturgia e quindi di questo culto reso a Dio.
Infine, c’è un’altra sfida da raccogliere: smentire chi ritiene erroneamente che Papa Benedetto abbia fatto risorgere un morto e ci vorrebbe relegare non alle periferie della Chiesa ma addirittura fuori dalla Chiesa. Da 50 anni, i fedeli, i religiosi e i preti legati alla tradizione della Chiesa sono stati derisi, disprezzati ed emarginati. Il 7 luglio 2007, Papa Benedetto ha posto fine a questa situazione che ha turbato tante anime, ricucendo la tunica stracciata della Chiesa, la tunica stracciata di Cristo.
Tocca a noi rifiutare ogni nuovo strappo all’unità della Chiesa e farci valere come una delle pecorelle del gregge. Siamo ben consapevoli di non essere tutto il gregge e accettiamo volentieri di essere solo una pecorella su cento ma riteniamo di meritarci non minor cura e attenzione da parte dei nostri pastori di quanto ne godano le altre. Alcuni temono una presunta nostra ideologizzazione ma li posso subito rassicurare, non abbiamo altra “ideologia” che l’amore per Gesù Eucaristia, Crocefisso e Risorto.

5) Alcuni ritengono che il pellegrinaggio si sovrapponga ad altri eventi promossi da ambienti legati alla tradizione in quello stesso periodo. Che cosa ci può dire al riguardo?
CISP: Quando abbiamo deciso di riproporre un pellegrinaggio anche per quest’anno, ci siamo posti il problema della vicinanza di date con altri eventi della comunità tradizionale, come la biennale assemblea della Federazione Una Voce Internazionale, evento importante ma che coinvolge essenzialmente i responsabili dei vari capitoli dell’associazione sparsi nel mondo. Abbiamo chiesto alla FIUV se fosse opportuno operare insieme, ma hanno risposto – e si capisce bene – di avere un preciso ed intenso programma di lavoro e che non potevano inserire altri appuntamenti proprio nello stesso momento. Visto che da parte nostra volevamo essere in sintonia con la chiusura dell’Anno della Fede e che dovevamo tenere conto anche delle numerose attività previste dalla Santa Sede, abbiamo scelto di operare in maniera indipendente. Lo stesso problema si è posto anche con la fraternità S. Pietro, che a metà ottobre verrà a Roma per festeggiare il suo giubileo, a 25 anni dalla sua fondazione con il motu proprio Ecclesia Dei del 1988.
Poi non dobbiamo dimenticare che ci sono ancora problemi e resistenze, con tante persone ostili alla messa tradizionale e che vogliono ostacolarci: quindi, più iniziative ci sono, meglio è, poiché aumenta per così dire il peso della nostra presenza; ed inoltre, venendo in contatto per le esigenze organizzative, si potranno incontrare anche tante persone aperte e favorevoli. Se invece si fa sempre tutto insieme, si rischia di finire nella solita routine in una sorta di ghetto e non mi sembra il massimo dei risultati cui aspirare. Ora non dico che dobbiamo essere dei missionari, ma almeno dobbiamo farci conoscere e far conoscere la realtà che rappresentiamo e soprattutto la liturgia che è il collante che ci aggrega e ci dà coesione.

6) C’è un messaggio particolare che vorrebbe comunicare?
CISP: Vorrei semplicemente ricordare che un pellegrinaggio può essere visto sotto varie angolazioni. Innanzitutto è un’opportunità penitenziale, nel senso che in qualche modo costa fatica e sacrificio. Certo non è Compostella e quindi non c’è da camminare così tanto, però comunque questo pellegrinaggio, seppure in piccolo, comporta qualche fatica che può essere interpretata come una sorta di penitenza o fioretto da offrire al Signore.
In realtà, ciò che ci ha spinti a ripetere il pellegrinaggio a distanza di un anno, è stato il successo tanto sperato ma inatteso dell’anno scorso, perché tutti coloro che hanno partecipato sono ripartiti felici di aver preso parte ad una esperienza che si è rivelata spiritualmente proficua: sono tornati a casa portandosi un piccolo tesoro spirituale, che è ovviamente il frutto più importante del pellegrinaggio. E noi quest’anno vorremmo che si verificasse la stessa cosa: anche noi siamo chiamati a dare il nostro contributo alla nuova evangelizzazione con l’ausilio della sempre giovane tradizione liturgica; penso che per molti, questa delle celebrazioni e degli eventi legati al pellegrinaggio, potrebbe essere l’occasione per scoprire che cos’è la realtà del mondo della spiritualità tradizionale: e non parlo soltanto della liturgia ma anche dei fedeli che sono ad essa legati; infatti spesso le critiche rivolte al mondo tradizionale sono critiche rivolte agli stessi fedeli, dipinti come personaggi che pensano più a far politica che a pregare, e che, se poi veramente pregano, lo fanno indirizzando preghiere a tutt’altri scopi invece che alla propria santificazione, o che, ancora, sono soltanto un gruppo sociale attento soltanto ai propri interessi, che non sono certo in primo luogo spirituali, e via dicendo. Per tanti anni si è pensato che ci fossero solo i francesi ad essere tradizionalisti, poi, soltanto gli europei, e adesso si scopre, grazie al motu proprio Summorum Pontificum, che – dalle Filippine al Sudamerica, dall’Australia alla Finlandia, fino a Terranova – si tratta di una realtà universale. Niente di strano visto che il messale di San Pio V è stato il messale della Chiesa universale per secoli.
Dunque, venire a Roma per questo pellegrinaggio è l’occasione per chi non la conosce, di scoprire la liturgia tradizionale, ma forse anche l’occasione di incontrare i suoi fratelli in Cristo, e noi saremmo molto lieti di vedere persone che non sono quelle che normalmente vediamo alle nostre messe domenicali. Dobbiamo dire che noi soffriamo molto di questa idea di essere ghettizzati. Recentemente papa Francesco ha rivolto un invito a tutti i cattolici affinché si esaminino per vedere se sono chiusi e tristi, un atteggiamento questo che ha poco di cristiano; magari può anche capitare a volte a noi, fedeli tradizionali, di essere così nella nostra vita quotidiana, di avere un atteggiamento un po’ freddo e chiuso, ma spesso siamo stati anche spinti ad essere così, perché quando abbiamo bussato ad una porta all’interno della nostra madre Chiesa, il più delle volte ce l’hanno sbattuta in faccia.
Ecco quindi che ci farebbe piacere riuscire anche a farci conoscere meglio, perché la realtà della famiglia Summorum Pontificum è una realtà che sta evolvendo pian piano, con un’età media abbastanza giovane: la stragrande maggioranza delle persone che la compongono sono nate e cresciute nella fede e nella pratica religiosa dopo il Concilio, dunque spesso senza conoscere la liturgia tradizionale fino al 2007; alcuni di coloro che hanno fatto la scelta di aderire al Summorum Pontificum si stupiscono di ritrovarsi collocati un po’ alla periferia della Chiesa o delle loro parrocchie. Sarebbe bello – ripeto – che questo pellegrinaggio fosse anche un’occasione di incontro: come l’anno scorso il card. Comastri aveva spalancato le porte di San Pietro per noi, così sarà quest’anno; ma spero che sia anche un’opportunità per noi di portare più persone, tra le quali speriamo che tante reciteranno le loro preghiere in latino per la prima volta.


giovedì 5 settembre 2013

Lampi di genio. Un’omelia extra di Joseph Ratzinger

fonte: Settimo Cielo di Sandro Magister



Il professor Joseph Ratzinger ha rinunciato, quest’anno, a prender parte all’annuale seminario estivo dei suoi ex allievi di teologia che si è tenuto a Castel Gandolfo sul tema “La questione di Dio sullo sfondo della secolarizzazione” alla luce della produzione filosofica e teologica di Rémi Brague.
Ma il 1 settembre ha celebrato con loro la messa, nella cappella del Governatorato, non lontano dal monastero nel quale risiede, sul colle Vaticano.
Era la XXII domenica del tempo ordinario, anno C, dove nel Vangelo di Luca (14, 1.7-14) Gesù dice: “Va’ a metterti all’ultimo posto… perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”, e: “Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti”.
Ecco qui di seguito come Ratzinger ha commentato queste parole di Gesù nell’omelia, secondo il resoconto che ne ha fatto la Radio Vaticana.

Ognuno nella vita vuole trovare il suo posto buono. Ma qual è veramente il posto giusto? L’omelia di Benedetto XVI nella messa celebrata in occasione dell’incontro dei suoi ex-allievi è, in fondo, una risposta a questa domanda e parte dal Vangelo di oggi, nel quale Gesù invita a prendere l’ultimo posto.
“Un posto che può sembrare molto buono può rivelarsi per essere un posto molto brutto”, nota il papa emerito facendo riferimento a quanto accaduto già in questo mondo, anche negli ultimi decenni, dove vediamo come “i primi” sono stati rovesciati e improvvisamente sono diventati “ultimi” e quel posto che sembrava buono era invece “sbagliato”. Anche nei discorsi che si tennero durante l’Ultima Cena, i discepoli si litigano i posti migliori. Gesù si presenta invece come Colui che serve. Lui “nato nella stalla” e “morto sulla Croce” ci dice – afferma Benedetto XVI – che il posto giusto è quello vicino a Lui, “il posto secondo la sua misura”. E l’apostolo, in quanto inviato di Cristo “è l’ultimo nell’opinione del mondo”, e proprio per questo è vicino a Gesù:
“Chi, in questo mondo e in questa Storia forse viene spinto in avanti e arriva ai primi posti, deve sapere di essere in pericolo; deve guardare ancora di più al Signore, misurarsi a Lui, misurarsi alla responsabilità per l’altro, deve diventare colui che serve, quello che nella realtà è seduto ai piedi dell’altro, e così benedice e a sua volta diventa benedetto”.

E, dunque, qualunque sia il posto che la Storia vorrà assegnarci, quello che è determinante – sottolinea il papa emerito – è “la responsabilità davanti a Lui, e la responsabilità per l’amore, per la giustizia e per la verità”. Nel Vangelo di oggi il Signore ricorda che chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. E Benedetto XVI fa notare che “Cristo, il Figlio di Dio, scende per servire noi e questo fa l’essenza di Dio” che “consiste nel piegarsi verso di noi: l’amore, il ‘sì’ ai sofferenti, l’elevazione dall’umiliazione”:
“Noi ci troviamo sulla via di Cristo, sulla giusta via se in Sua vece e come Lui proviamo a diventare persone che ’scendono’ per entrare nella vera grandezza, nella grandezza di Dio che è la grandezza dell’amore”.

Benedetto XVI fa dunque nell’omelia una catechesi sul senso dell’abbassamento di Cristo e sull’essenza dell’amore di Dio. “La Croce, nella Storia, è l’ultimo posto” e il “Crocifisso non ha nessun posto, è un ‘non-posto’”, è stato spogliato, “è un nessuno” eppure – nota Benedetto XVI – Giovanni nel Vangelo vede “questa umiliazione estrema” come “la vera esaltazione”:
“Così, Gesù è più alto; sì, è all’altezza di Dio perché l’altezza della Croce è l’altezza dell’amore di Dio, l’altezza della rinuncia di se stesso e la dedizione agli altri. Così, questo è il posto divino, e noi vogliamo pregare Dio che ci doni di comprendere questo sempre di più e di accettare con umiltà, ciascuno a modo proprio, questo mistero dell’esaltazione e dell’umiliazione”.

Infine il Papa emerito ricorda che Gesù esorta a “invitare” a prescindere dai vantaggi, cioè a invitare i paralitici, gli storpi, i poveri perché Lui stesso lo ha fatto invitando “noi alla mensa di Dio”, e in questo modo mostrandoci cosa sia la gratuità. Giustamente l’economia si poggia sulla “giustizia commutativa”, sul “do ut des”, ma perfino in questo ambito rimane qualcosa di gratuito, ricorda Benedetto XVI sottolineando che “senza la gratuità del perdono nessuna società può crescere”, tanto è vero che le più grandi cose della vita, cioè “l’amore, l’amicizia, la bontà, il perdono”, “non le possiamo pagare”, “sono gratis, nello stesso modo che in cui Dio ci dona a titolo gratuito”:
“Così, pur nella lotta per la giustizia nel mondo, non dobbiamo mai dimenticare la ‘gratuità’ di Dio, il continuo dare e ricevere, e dobbiamo costruire sul fatto che il Signore dona a noi, che ci sono persone buone che ci donano ‘gratis’ la loro bontà, che ci sopportano a titolo gratuito, ci amano e sono buone con noi ‘gratis’; e poi, a nostra volta, donare questa ‘gratuità’ per avvicinare così il mondo a Dio, per diventare simili a Lui, per aprirci a Lui”.

Quindi Benedetto XVI si sofferma sulla liturgia, sull’umiltà della liturgia cristiana che è insieme “incommensurabilmente grande” perché ci si unisce alle schiere degli angeli e dei santi nella festosa gioia di Dio. E il sangue di Cristo, che è al centro dell’Eucaristia, significa proprio “entrare nello splendore del raduno gioioso di Dio”. “Questo Sangue è il suo amore”, conclude Benedetto XVI. “È il Monte di Dio e ci apre alla gloria di Dio”.