Sante Messe in rito antico in Puglia

martedì 30 ottobre 2012

Intervista di Paix Liturgique a don Nicola Bux


 Favorire la rinascita del sacro nei cuori

fonte: Paix Liturgique lettera n. 35

All'udienza generale dello scorso 3 ottobre, Benedetto XVI ha voluto sottolineare la centralità della liturgia, e ha insegnato che essa "non è una specie di 'auto-manifestazione' di una comunità", ma "implica universalità e questo carattere universale deve entrare sempre di nuovo nella consapevolezza di tutti. La liturgia cristiana è il culto del tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio. E’ il culto del cielo aperto". È estremamente significativo che un discorso così denso sia stato pronunciato proprio nell'imminenza dell'apertura dell'Anno della Fede: ciò testimonia del ruolo fondamentale che Benedetto XVI assegna alla liturgia nel suo magistero e anche nella nuova evangelizzazione.
A cinque anni dall'entrata in vigore del Motu Proprio e in vista dell'ormai imminente pellegrinaggio "Una cum Papa nostro", che porterà a Roma il "popolo del Summorum Pontificum", abbiamo chiesto a uno dei più profondi conoscitori del pensiero liturgico del Papa, don Nicola Bux, di fare il punto sullo status quaestionis. Autore del best-seller "La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione", Don Nicola è, fra l'altro, Consultore dell'Ufficio per le celebrazioni liturgiche del Santo Padre e della Congregazione per il Culto Divino.

1) Don Nicola, 49 anni dopo la sua promulgazione, la costituzione apostolica Sacrosanctum Concilium sembra ancora essere lettera morta in tante diocesi del mondo. Per non parlare della riforma della riforma di Papa Benedetto, della quale lei è un ardente promotore, che fatica ad arrivare nelle nostre parrocchie: in Italia come in Francia, pochi altari e santuari sono stati ripristinati per rispondere all'invito papale a una maggiore solennità del culto liturgico. Come spiega questa distanza tra gli orientamenti liturgici romani e la realtà delle messe domenicali?

Risposta: La Chiesa, lo sappiamo dalla sua storia, si sviluppa mediante riforme e non rivoluzioni, diversamente dal mondo.Perchè sono i suoi uomini a dover cambiare il cuore e la mente, e poi ciò influisce positivamente sul cambiamento delle strutture: un cambiamento che è come lo sviluppo organico del corpo, senza abnormità o sussulti. Così avviene per la sacra liturgia: si sviluppa in modo quasi impercettibile da forme preesistenti; se invece ce se ne accorgesse bruscamente, vorrebbe dire che non è avvenuto un 'aggiornamento' ma un cambiamento da una cosa ad un'altra, per cui la norma della preghiera (lex orandi) non corrisponde alla norma del credo (lex credendi). Si è caduti in errore e persino in eresia.
Dell'opera di riforma di papa Benedetto XVI, non solo della liturgia ma della Chiesa, visto lo stretto rapporto tra le due, ci si accorge che non è altro che l'attuazione della Costituzione liturgica del Vaticano II, solo se interviene la osservazione appena indicata. Il problema pertanto non è innanzitutto di ripristinare l'altare in modo che si possa celebrare nelle due forme del rito romano, ma di favorire la rinascita del sacro nei cuori, ossia la percezione che Dio è presente tra noi e quindi il culto è divino, la liturgia è sacra se riconosce la Sua presenza, cioè la adora, e implica gli atteggiamenti conseguenti: inginocchiarsi, raccogliersi, far silenzio, ascoltare ecc. Quanto alla distanza tra la liturgia papale e quelle locali, c'è da riflettere: siamo cattolici se riconosciamo il primato del Successore di Pietro, ossia la responsabilità personale datagli dal Signore sulla Chiesa universale; ora, se nella Chiesa universale vi sono diversi riti in specie orientali, a capo dei quali stanno i patriarchi, a capo di quello romano c'è il Vescovo di Roma che, celebrando in san Pietro o nei viaggi apostolici, opera la salvaguardia dell'unità sostanziale del rito romano nelle diversità locali (cfr SC 38). Per queste ragioni, la liturgia celebrata dal Vescovo di Roma, non solo è esemplare ma typica, ovvero normativa, in quanto attua le prescrizioni dei libri liturgici, come tutti sono tenuti a fare ovunque, se sono cattolici.

2) Si sa bene ormai che il Santo Padre propone e non impone. Così sembra fare il Culto divino che pubblica molti documenti ma senza ricorrere a misure normative, pensiamo in particolare alla questione della comunione in mano che è emblematica di un abuso divenuto legge. Da due anni, lei è consultore della Congregazione per il Culto Divino: qual è il potere reale della Congregazione in materia?

Risposta: Il Santo Padre non propone sue idee sulla liturgia, ma custodisce e innova (? n.d.r.) quanto la Chiesa riceve dalla tradizione apostolica e da Gesù stesso. Nè una proposta nè una imposizione, bensì l'obbedienza a Qualcosa che viene sempre prima di noi e che da noi è ricevuto. I documenti dei dicasteri della Curia romana devono solo tradurre in atto tutto ciò, incluse le misure normative e le sanzioni previste dal diritto canonico. Un esempio: l'Istruzione Redemptionis Sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare nella Ss. Eucaristia. Chi è al corrente, per esempio, della differenza tra legge e indulto? Perciò non sa risolvere la questione del modo di fare la S.Comunione.
Il punto è che oggi va ricompreso nella liturgia non solo, ma nella Chiesa, il diritto di Dio, il suo primato e le conseguenze che ha sull'etica come sul culto a lui dovuto. Possiamo noi inventarci la legge morale? Nemmeno dunque potremmo inventarci il culto senza cadere nel peccato di farci un dio a modo nostro, ossia l'idolatria. Su questa questione per fortuna proprio Joseph Ratzinger aprì il dibattito con il noto testo Introduzione allo spirito della liturgia; raccolto esemplarmente dal cardinal Raymond Leo Burke ne: La Danza vuota intorno al Vitello d'Oro, ed.Lindau, e recentemente dal libro di Daniele Nigro, I diritti di Dio. La liturgia dopo il Vaticano II, ed.Sugraco.

3) Nella lettera ai vescovi che accompagna il Summorum Pontificum, il Santo Padre invitava all'arricchimento mutuo delle due forme dell’unico rito romano ma per arrivare a quest'arricchimento ci deve prima essere un incontro fra le due liturgie. Come si fa se la forma straordinaria rimane fuori dalle parrocchie: non è la messa parrocchiale il luogo naturale per quest'incontro?

Risposta: Il Santo Padre ha ripristinato il rito romano celebrato fino al Vaticano II, definendolo 'forma extraordinaria' rispetto a quella ordinaria uscita dalla riforma post-conciliare. Lo ha fatto perchè consapevole a motivo degli studi fatti e dei rapporti con insigni studiosi della liturgia, alcuni dei quali periti conciliari, che non erano soddisfatti di quanto si era riformato, ma nemmeno dello stato precedente: si pensi a Joseph Andreas Jungmann, autore di Missarum Sollemnia. Di qui la ragione innanzitutto dell'arricchimento mutuo tra le due forme, da perseguire con avvedutezza e pazienza, cosa che avviene celebrandole entrambe come sta già avvenendo dappertutto. Non è vero che il Papa ha pubblicato il Motu proprio per fare un piacere alla Fraternità Sacerdotale San Pio X: è del tutto alieno dal suo stile e dal suo pensiero. E' vero invece che deve portare la pace in tutta la Chiesa, dopo decenni di abusi e teoremi, resistenze e indulti. L'incontro tra le due forme avviene semplicemente celebrandole da parte del medesimo sacerdote e offrendole ai fedeli. Ma ci vorrà tempo per prepararsi, perchè molti ecclesiastici non conoscono più il latino; e si devono preparare anche i fedeli all'attuazione piena dei n 36 e 54 della Costituzione liturgica che prevedono l'affiancamento delle lingue correnti al latino, lingua dell'unità della Chiesa universale. Domando: è più giusto che in un santuario come Lourdes si celebri la Messa 'internazionale', in più lingue, sicchè ogni gruppo ne capisca la quinta parte? Oppure una Liturgia cattolica, nella lingua latina che fa sentire tutti membri dell'Una Santa Cattolica e Apostolica? Per mettere i fedeli in condizione di capire, è necessario cominciare con sussidi bilingue, e in ogni cattedrale e parrocchia si arrivi a celebrare la Messa secondo il dettato del n 36, come sta facendo il Papa ovunque vada. Questo si può fare anche col Messale di Paolo VI editio typica latina. Perchè la Chiesa universale deve ricorrere all'inglese, quando ha la sua koinè nella veneranda lingua latina?

4) A inizio settembre, ha partecipato a un incontro in Brasile sul Summorum Pontificum, promosso da alcuni vescovi: può dirci che cos'ha visto e imparato da questo viaggio?

Risposta: Ho imparato ancora una volta come sia vero ciò che dice il Signore nell'Apocalisse: "Ecco io faccio nuove tutte le cose" (21,5). Dove primeggiava la teologia della liberazione, si va affermando la Messa in forma extraordinaria, in molte città del Brasile. Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici in modo sereno e costruttivo attuano l'insegnamento di Benedetto XVI, si celebra nelle due forme del rito romano e si affronta il dibattito secondo il metodo suggerito da san Pietro: Adorate nei vostri cuori il Signore Cristo, sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi, con dolcezza, rispetto e buona coscienza (cfr 1 Pt 3,15-16).

5) Infine, sabato 3 novembre, in basilica vaticana, il cardinale Cañizares, Prefetto del Culto divino, celebrerà la forma straordinaria in chiusura del pellegrinaggio del popolo Summorum Pontificum a Roma. Che cosa le suggerisce questa notizia: possiamo vedere in questo gesto di colui che è il custode della liturgia per il Santo Padre un esempio dello spirito autentico della comunione ecclesiale che è tanto mancata nel tormentato post-concilio?

Risposta: Il gesto del Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti vuole dimostrare una voltà di più che nessuno è di troppo nella Chiesa, come disse il Papa ai Vescovi francesi nel suo viaggio in Francia nel 2008. La sacra liturgia si differenzia dalle devozioni private per il fatto che è il culto pubblico della Chiesa e non la devozione di singoli, di gruppi o di movimenti. A questi possono essere stati concessi alcuni adattamenti, ma nella salvaguardia dell'unità del rito romano nelle sue due forme ordinaria e extraordinaria. Non sono ammesse altre forme per gruppi particolari. Tuttavia ritengo che per il Papa l'urgenza grande è che il rito romano innanzitutto nella forma ordinaria sia celebrato con fede, dignità e osservando le prescrizioni dei libri liturgici.
In tal modo, la Messa in forma extraordinaria promossa dal Coetus Internationalis Summorum Pontificum deve rappresentare un segno di obbedienza e comunione col Papa. Senza la comunione affettiva ed effettiva col Sommo Pontefice e i Vescovi uniti con lui, non si può dire d'essere cattolici. Chiederemo istantemente al Signore l'unità - viene da unus cioè stare insieme intorno ad Uno - e la pace, sinonimo della comunione - viene da cum-munera - mettere insieme i carismi di ciascuno. E speriamo che cessino le rivalità e l'autoaffermazione, e si promuova la fraternità tra tutti nella carità di Cristo, a cominciare dal proprio ambiente, regione e nazione.

domenica 21 ottobre 2012

L'Organo nella liturgia: fra primazia e compromessi sul Re degl'istromenti


II Colloquio sulla Musica Sacra
Cinquant’anni dopo il Vaticano II
alla luce del Magistero di Benedetto XVI
Verona 6 ottobre 2012 



Intervento di don Gilberto Sessantini

Dall’anatema di San Girolamo (347-420)  che, ancora alla fine del IV secolo, invitava a stare lontani dall’organo perché culturalmente legato ad un mondo pagano e dai costumi disdicevoli (1) all’affermazione che esso è il “re degli strumenti” fatta da Guillaume de Machaut (1300ca.-1377) (2) sancendo così la sua definitiva consacrazione a strumento per eccellenza – secondo il suo significato etimologico (3)  – e a strumento ecclesiastico per definizione – per il suo uso peculiare – molto tempo è passato. Un millennio in cui, l’organo di fatto è divenuto lo strumento principe, non esclusivo certo, ma preferenziale della liturgia cristiana occidentale.  E tale è rimasto, indisturbato, fino all’immediato postconcilio, quando il suo trono ha cominciato a scricchiolare e la sua peculiarità ad essere messa in discussione. 

Cinquant’anni dopo il Vaticano II

Non possiamo non cogliere impressionanti analogie tra quanto è avvenuto per il canto gregoriano e quanto accadde e accade tuttora per l’organo. Mentre il Vaticano II indicava nel canto gregoriano il canto proprio della liturgia latina, esso veniva di fatto estromesso dalla liturgia fino a farlo diventare “un estraneo a casa sua” (4) . Nonostante un dettato conciliare limpido e chiaro, che additava nell’organo lo strumento principe della liturgia per le sue intrinseche capacità in ordine al rito e ai suoi scopi (5) , le applicazioni concrete aprivano la strada ad altri strumenti. I criteri di ammissibilità non erano certo quelli ritenuti tali dall’assise conciliare (6) , ma un criterio, vago e soggettivo, di ammodernamento e di corrispondenza ai gusti del momento, soprattutto, si diceva, dei giovani. Alla massima espressione di lode nei confronti dell’organo corrispose, nella realtà dei fatti, l’inizio del suo declino. E se anche non possiamo prescindere dall’ambiente culturale in cui tali applicazioni concrete sorsero - il ’68 - e collocare in quella temperie culturale gli eccessi assunti a paradigma, certo non possiamo fare a meno di chiederci come si è potuti giungere a tal punto, ora che l’ubriacatura del’68  è finita, l’euforia è passata e ci rimane solo un gran mal di testa da post-sbornia. 
Il peccato originale, mi si permetta l’espressione, mi pare lo si possa scorgere nella “Settimana internazionale di Friburgo” (22-28 agosto 1965) avente come tema “Il canto nel rinnovamento liturgico” (7), durante la quale diversi relatori, applicando alla liturgia e alla sua musica i principi della teologia della secolarizzazione (8), giunsero ad affermare che “dopo Cristo ogni arte è fondamentalmente profana” e che “ogni musica integrata al culto , per il fatto stesso che può esercitarvi una funzione rituale diviene ‘sacra’. Non vi sono più limiti , specificazioni, sacralizzazioni, se non quelli richiesti dalla funzionalità di ogni arte nella liturgia”. Nella dialettica rinnovamento-tradizione con la quale ci si pose e si impostò il dibattito, finì triturato il buon senso e quanto il Vaticano II aveva disposto. Invano il noto liturgista Jungmann, cui in quel convegno spettò la prima relazione, insistette nel “tornare ai principi” e alla prudenza conciliare che ammetteva innovazioni solo se dimostrate veramente utili, in modo tale che le “nuove forme risultino come uno sviluppo organico delle forme già esistenti” per cui – concludeva Jungmann – per costruire l’avvenire “occorre soltanto risfogliare la storia della liturgia”.   Con buona pace di Jeannetteau, insigne gregorianista, che aveva insistito sul carattere esemplare del gregoriano per giungere ad una sintesi verbo-melodica anche nei nuovi canti nelle lingue nazionali e che aveva ammonito a non abbandonare il gregoriano perché “non è da questo abbandono che nascerebbe il rinnovamento desiderato”, le sue e le posizioni degli altri “grandi vecchi” vennero tacciate come appartenenti a “buon senso cauteloso” e, nel contesto della discussione comune, apparivano velate di “un tono esoterico e insieme perentorio” e dettate dalle “ragioni del cuore che mal si adattano a misurarsi con la logica”. In questa linea auto-distruttiva che prese il sopravvento, anche l’organo venne declassato a strumento qualunque, giungendo anzi a venirgli negata (!) la patente di strumento ideale per accompagnare il canto “a causa del suono fisso che lo caratterizza, in totale contrasto con la flessibilità della voce umana. Meglio altri strumenti, più duttili e idonei a sostenere le voci e a marcare la ritmica” così il Reboud (9). Ciò che fino a qualche decennio prima, come ad esempio asseriva C.M. Widor, era la caratteristica principale che qualificava l’organo come strumento “sacro” per eccellenza e particolarmente adatto al sostegno del canto, veniva ora  utilizzato per denigrarlo ed estrometterlo dalla chiesa e dalla liturgia. Per Widor infatti, i suoni prodotti e  tenuti teoricamente anche per una durata illimitata danno un’idea dell’infinito e possono risvegliare in noi l’idea religiosa; il suono “inerte” dell’organo significa  omogeneità, durata, stabilità infinite e questa inerzia non è un difetto ma la base della bellezza dell’organo e la sua perfetta idoneità a sostenere il canto di pochi o di tanti (10) . E questa è anche l’esperienza plurisecolare che caratterizza il servizio organistico nella liturgia. Ma la pervicacia innovativa e distruttiva giungeva a mistificare la realtà. Ciò che secoli di storia della musica e di prassi consolidata sostenevano e provavano, veniva praticamente misconosciuto e, peggio, ridicolizzato. Esaltando le istanze innovatrici del Vaticano II, tali prese di posizione calpestavano il dettato conciliare stesso, reo di pagare lo scotto ad “esaltazioni romantiche” del concetto di musica sacra, del canto gregoriano e dell’organo. Il problema non è certo che a quel convegno si espressero queste opinioni, ma il fatto che queste opinioni sostituirono il Magistero e condizionarono la prassi. Da quel convegno, infatti, sorse il gruppo Universa Laus i cui membri, o i loro epigoni,  ancora oggi, dopo quasi cinquant’anni, siedono a “consulere” i vari uffici liturgici nazionali, impedendo pure un legittimo ricambio generazionale e di pensiero. Perché il resto del mondo, ma non se ne sono ancora accorti, non la pensa più come loro.  Non fu più , quindi, la Sacrosanctum Concilium a guidare la riforma liturgica, ma l’interpretazione che alcuni le davano.  

Paradossalmente sono le stesse armi usate da costoro che ora li condannano. Infatti, uno dei loro cavalli di battaglia riguarda il trinomio musica-liturgia-cultura (11)  dove è la cultura che determina quale musica e quale liturgia sia possibile ed auspicabile per una data assemblea celebrante. Questa impostazione “dal basso” è già stata sufficientemente contestata da uno scritto di Ratzinger che  criticava la  voce “Canto e Musica” del “Nuovo Dizionario di Liturgia” edito dalle Paoline e non mi dilungo ad esporla (12)  . Ma è proprio il concetto di cultura che occorre approfondire. Di quale cultura si tratta? Di una vera, reale, constatabile espressione dei nostri e degli altri tempi, oppure di una cultura falsa, che non esiste, inventata a tavolino per giustificare i propri assunti? Perché la cultura “qua talis” vede ancor oggi e da secoli nell’organo uno strumento “sacro” per eccellenza, chiamato a commentare i riti, a  sostenere il canto, a creare clima di preghiera e di sacralità. Ne fanno fede le innumerevoli citazioni sia musicali che cinematografiche, teatrali o televisive, pubblicitarie, d’intrattenimento o di contenuto. Due o tre accordi d’organo segnalano immediatamente (nel senso letterale del termine e cioè senza altre mediazioni culturali) l’irrompere del sacro, non solo all’opera ma anche in musiche rock ben lontane dal volere portare a Dio; e non solo per gli occidentali, ma, nel villaggio globalizzato, anche per chi appartiene ad altri mondi culturali. Lo stesso avviene per l’immagine televisiva o cinematografica del prete: sempre in abito talare (Don Matteo docet). E per il canto gregoriano. Prescindendo pure dalle innumerevoli pagine di letteratura organistica, veri monumenti musicali (ma forse essi non sono o non fanno cultura!?!), basterebbero citare le numerose pagine in cui la letteratura fa riferimento all’organo come strumento “sacro”: da Virgilio, Teocrito, Lucrezio, Dante, Guillame de Machaut, a Jean Froissart, Michel de Montaigne, John Milton, Robert Browning, Victor Hugo, Honoré de Balzac, Erasmo, Rabelais e Pascal (13) . E allora?  Non sono forse, queste, espressioni della cultura e, per quanto riguarda gli esempi citati più vicini a noi, espressioni della cultura dominante?
Un altro cavallo di battaglia è costituito dal demonizzare il concetto di sacro applicato alla musica e all’organo, oltre che a tutto ciò che la Chiesa considera il suo tesoro più sacro: la Divina Liturgia. Non potrebbe essere diversamente provenendo il loro pensiero dalla teologia della secolarizzazione. Ma questa posizione, a prescindere dai discutibili contenuti teologici, pecca di nominalismo. Infatti, comunque, la si voglia chiamare: “musica per la liturgia, musica liturgica, musica ecclesiastica, musica spirituale, musica religiosa, musica sacra …”  (14) la sostanza è che la Chiesa si è sempre sentita in diritto/dovere di ammettere o non ammettere musica e strumenti a seconda della rispondenza o meno al proprio “progetto rituale”, marcando un linea di confine ben netta ed individuabile, che solo chi è in mala fede non può non vedere e accogliere come tale. Non possiamo dimenticare, inoltre, che la musica è sacra ancor più che per una funzione per la sua origine; origine che, come dimostra qualsiasi trattato di etnologia musicale, è di tipo religioso. Già nella riflessione musicologica di Boezio (475–525) con la sua tripartizione tra musica mundana-humana-instrumentalis vengono poste le basi filosofiche e teologiche di quella che è divenuta poi la musica sacra/musica liturgica dei documenti ecclesiastici (15). Nella trattatistica medievale, inoltre, musica misurata (sacra) e musica non misurata (profana) si rispecchiano in strumenti che sono sacri o profani a seconda che rispecchino la mensura stabilita in base ai rapporti pitagorici propri del monocordo e tra questi e la mensura del cosmo e l’organo è posto tra gli strumenti sacri proprio perché produce suoni misurabili da canne che rispondono a misura prestabilite le cui proporzioni richiamano modelli matematici universali (16). Comprendiamo, quindi, il livello di profondità raggiunta dalla riflessione su questi temi che non si possono sbrigativamente e grossolanamente catalogare come “mito” e “suggestione del sacro” (17) e sciogliere la valenza del sacro musicale solo nella dimensione prettamente funzionale.

La primazia

 L’organo, quindi, culturalmente parlando è ancora uno strumento che all’interno di ciò che chiamiamo “sacro”  e liturgia ha ancora un ruolo ben definito, anzi, una primazia.
Quale primazia?
Il tempo non ci concede una disamina approfondita delle motivazioni per cui la Chiesa si è espressa nei termini che conosciamo riguardo all’organo “il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti.” (SC120) . Bastino alcune osservazioni.
Di certo, c’è una primazia derivata dalle possibilità tecniche e foniche dello strumento. Sono di due tipi: una riguarda la capacità di sostenere il canto di uno, di pochi o di tanti, capacità legata alla amplissima gamma dinamica di cui l’organo è capace e che nessun altro strumento possiede, neppure se amplificato; l’altra riguarda la capacità di colorare diversamente i singoli momenti del rito e le varie sfaccettature di cui la liturgia è ricca. Nessun altro strumento, da solo, è in grado di esprimere tutto questo e non a caso vi è molta analogia tra un organo e l’orchestra, anzi con tutti i suoni della creazione. Lo ha ricordato Benedetto XVI nel discorso per la benedizione dell’organo della Alte-Kapelle di Ratisbona: 

“L'organo, da sempre e con buona ragione, viene qualificato come il re degli strumenti musicali, perché riprende tutti i suoni della creazione e – come poco fa è stato detto – dà risonanza alla pienezza dei sentimenti umani, dalla gioia alla tristezza, dalla lode fino al lamento. Inoltre, trascendendo come ogni musica di qualità la sfera semplicemente umana, rimanda al divino. La grande varietà dei timbri dell'organo, dal piano fino al fortissimo travolgente, ne fa uno strumento superiore a tutti gli altri. Esso è in grado di dare risonanza a tutti gli ambiti dell'esistenza umana. Le molteplici possibilità dell'organo ci ricordano in qualche modo l'immensità e la magnificenza di Dio”.  (18)

In secondo luogo c’è una primazia di carattere simbolico. Anche in questo caso due sono gli ambiti. Uno ecclesiologico, l’altro liturgico-sacrale. Il primo l’ha espresso molto bene Benedetto XVI sempre nel discorso per la benedizione dell’organo della Alte-Kapelle di Ratisbona: 

“In un organo, le numerose canne e i registri devono formare un'unità. Se qua o là qualcosa si blocca, se una canna è stonata, questo in un primo momento è percettibile forse soltanto da un orecchio esercitato. Ma se più canne non sono più ben intonate, allora si hanno delle stonature e la cosa comincia a divenire insopportabile. Anche le canne di quest'organo sono esposte a cambiamenti di temperatura e a fattori di affaticamento. È questa un'immagine della nostra comunità nella Chiesa. Come nell'organo una mano esperta deve sempre di nuovo riportare le disarmonie alla retta consonanza, così dobbiamo anche nella Chiesa, nella varietà dei doni e dei carismi, trovare mediante la comunione nella fede sempre di nuovo l'accordo nella lode di Dio e nell'amore fraterno. Quanto più, attraverso la Liturgia,  ci lasciamo trasformare in Cristo, tanto più saremo capaci di trasformare anche il mondo, irradiando la bontà, la misericordia e l'amore per gli uomini di Cristo.”  (19)

L’analogia con il corpus ecclesiae è mirabile anche nella sua attualità.
Il secondo ambito in cui l’organo esprime la sua primazia di carattere simbolico è quello liturgico-sacrale. Come avviene per gli altri luoghi liturgici (altare, ambone, cattedra...) pure l’organo “parla” e rimanda alla sua funzione anche quando la liturgia non è in atto. La sua presenza, il suo esser-ci, è simbolo di quel canto che esso sostiene, di quella musica che, come affermava Victor Hugo, “unisce ai Cieli la terra” (20). La sua presenza connota ancor più un edificio ecclesiastico per quello che è: luogo di culto, luogo di preghiera, luogo di vita. Anche senza emettere una nota. Cosa che non farebbe una chitarra, una batteria o un flauto posti in un canto della chiesa: nella nostra cultura essi hanno un’altra valenza culturale, appunto. 

I compromessi

Se tali sono i caratteri che definiscono la primazia dell’organo nella liturgia, è ancor vero che la situazione odierna costringe a dei compromessi.
Quali compromessi?
Innanzitutto con il repertorio dei canti. A parte i due secoli (Sette e Ottocento) in cui la maggior parte della letteratura organistica (italiana si badi bene) si è allontanata dal gregoriano per ricercare in ambito profano la propria ispirazione, il connubio tra organo e repertorio vocale sacro è sempre stato stretto. Pensiamo a quanto hanno suggerito le melodie dei corali o dei temi gregoriani lungo i secoli. Oggi a cosa può ispirarsi un organista se non a ciò che si canta in chiesa, perché tale è la sua funzione? Purtroppo la situazione la conosciamo tutti e non è certo continuando sulla linea del cosiddetto Repertorio Nazionale, che si può dare una svolta  al canto liturgico. Ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano. All’organista serio non resta che nobilitare con la sua arte ciò che nobile non è e che solo la protervia di certo clero e di certi animatori musicali continua a propinare durante i divini misteri. 
In secondo luogo, con gli altri strumenti. La primazia non è supremazia. E la storia della musica e dei documenti ecclesiastici ci conferma che sempre, accanto all’organo, hanno preso posto anche altri strumenti, non nell’ordinarietà sempre riservata all’organo, ma nella straordinarietà. Le principali feste vedevano aggiungersi all’organo archi e ottoni, non in modo indiscriminato, ma secondo necessità musicali, coloristiche o simboliche (trombe a Pasqua, oboi a Natale), così come si ingrossavano le fila dei cantori. Si metteva in pratica già allora quella solennizzazione progressiva che Musica Sacram nel 1967 suggeriva per differenziare anche con canto e musica i gradi liturgici delle celebrazioni (21).  Se gli strumenti sono suonati da professionisti e  se sono scelti con criteri musicali essi contribuiscono alla riuscita del “progetto liturgico”. Se sono un’accozzaglia di strumenti disomogenei scelti per “far partecipare” i ragazzi, allora il discorso cambia. Ma anche in un caso-limite come quest’ultimo all’organista serio spetta il compito di fare da orchestratore, distribuendo le parti secondo le regole della musica e del buon senso.   
Infine il compromesso con la liturgia. Essa è quella che è, anzi essa è come viene celebrata, spesso senza quel necessario “spirito della liturgia” (22) che aiuta sacerdote e fedeli ad entrare e a mettersi  alla presenza del Signore;  e se prima della riforma il Caeremoniale Episcoporum assegnava minuziosamente all’organo numerosi interventi solistici (23), ora, per dirla con i nostri “amici”, la presenza dell’organo è tutta da inventare. Nel senso positivo del termine e proprio a partire dalle dinamiche interne della liturgia e a partire dagli “spazi di libertà” che il rito stesso prevede direttamente o indirettamente. Qui l’organo può molto, addirittura può supplire la mancanza di spiritualità liturgica di preti e assemblee. Ecco quindi che, circolarmente,  da un compromesso scaturisce di nuovo per l’organo una primazia.
Non ho volutamente considerato tra i compromessi la questione economica, perché più che un compromesso essa è un’ingiustizia.

Tra primazia e compromessi anche oggi la liturgia non può fare a meno dell’organo e l’organo non può fare a meno della liturgia. Il dettato conciliare è chiaro, la sua mens (il cosiddetto spirito) altrettanto; sono i cuori di chi deve metterlo in pratica che han bisogno di conversione.

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Note:

[1 ]SAN GIROLAMO, Lettera 107, 8  a Laeta sull’educazione di sua figlia Paola: “Che ella sia sorda all’organo, al flauto, alla lira e alla cetra; che ella ignori perché questi strumenti sono stati inventati” . 
[2] Cfr. CECIL CLUTTON, L’organo, in ANTONHY BAINES (a cura di), Storia degli strumenti musicali, Milano 1983, p.50. In RENÉ BRANCOUR, Histoire des instruments de musique, Paris 1921, p. 210 viene anche riportato il distico di de Machaut “Et de tous instruments le roi/ Dirai-je ici, comme je croi, orgue.”
[3] Organo infatti in greco significa strumento.
[4] Cfr. FULVIO RAMPI, Il canto gregoriano: un estraneo in casa sua,  relazione tenuta il 19 maggio 2012 a Lecce nel primo convegno: "Colloqui sulla musica sacra. Cinquant'anni dal Concilio Vaticano II alla luce del magistero di Benedetto XVI"
[5]Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti.” SC 120a.
[6]Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22-2, 37 e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli.” SC 120b.
[7] Cfr. GINO STEFANI, “Friburgo: Prima settimana mondiale della nuova musica sacra”, in Rivista Liturgica, anno 1965,n°4, pp.492-498, da cui sono tratte le citazioni delle relazioni e dei giudizi di Stefani.
[8] Questa teologia afferma che il Cristianesimo, per effetto dell’ Incarnazione, si ridurrebbe a “religione secolare”, ovvero una religione che non ha più nulla da dire sul piano della salvezza del mondo ma solo su quello del giusto funzionamento del mondo stesso. Ogni realtà mondana sarebbe già salvata, ciò che occorre fare è solo operare socialmente nel mondo. La storia non è più il luogo della manifestazione della Rivelazione e della Verità, ma diviene essa stessa Rivelazione  e Verità. Accettando in toto il percorso della filosofia contemporanea e dello sviluppo scientifico-tecnologico moderno questa teologia  svaluta da un lato la metafisica e dall'altro toglie alla fede qualsiasi segno di sacralità. Partendo dal presupposto che solo accettando pienamente la secolarizzazione della Chiesa - il suo perdere qualsiasi significato mitico-metafisico, la sua pretesa teologico-epistemica che pretendeva di vincolare l'uomo al soprannaturale - si può riaprire finalmente un orizzonte autentico entro il quale sviluppare un rapporto più genuino tra Dio e l'uomo. Contro tale “teologia” si è ben espresso il Sinodo dei Vescovi del 2005 nei cui Lineamenta così troviamo scritto: “Il sacro è segno dello Spirito Santo. Dice S. Basilio Magno: “Tutto ciò che ha un carattere sacro è da lui che lo deriva”.[208] Malgrado nel tempo della desacralizzazione si sia pensato che il confine tra il sacro e il profano fosse infranto, Dio non si ritira dal mondo per abbandonarlo alla sua mondanità. Finché il mondo non è trasformato e Dio non è ancora tutto in tutti (1 Cor 15,28), si conserva anche la distinzione tra sacro e profano.” Sinodo dei Vescovi,
XI Assemblea generale ordinaria su: L’Eucaristia: fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Lineamenta n° 61.
[9] Così sintetizza lo STEFANI: “La relazione Reboud è stata tra le più documentate e lungimiranti: Dopo aver ricordato le origini profane dell’organo e il suo recentissimo (sec. 19°) [sic!] impiego come strumento d’accompagnamento, il relatore osserva che questo non è affatto lo strumento ideale per accompagnare il canto, e suggerisce esempi concreti in cui esso può venire sostituito utilmente da altri strumenti. Nella relazione, e poi nella discussione del gruppo italiano, si precisa che il suono fisso e l’emissione rigida dell’organo non sono vocali ma che invece si sovrappongono e si impongono all’intonazione e al vibrato ben più flessibili e propri della voce, con il risultato frequente di irrigidire e meccanizzare questa. Inoltre, il tessuto armonico organistico, per quanto esile, basta per costituire una fascia sonora che spesso finisce per incorporare a sé la voce degradandola al semplice ruolo di parte polifonica. In questo caso la musica prevale sul canto, e la priorità della parola è perduta”.  Cfr. G. STEFANI, op. cit. p.497.
[10] Cfr. GIUSEPPE CLERICETTI, Charles-Marie Widor. La Francia organistica tra Otto e Novecento”, Varese 2010, p.40.
[11] Esso costituisce anche il titolo del documento fondativo del gruppo, documento stilato nel 1980. In esso significativamente non si parla mai di Chiesa Cattolica ma sempre di Chiese, mai di culto cattolico ma di culti cristiani, non si cita mai un documento del Magistero, ma sempre opinioni assurte a dogmi e presentate in modo apodittico, con la supponenza tipica di un certo modo di fare cultura. 
[12] Cfr. JOSEPH RATZINGER, Opera Omnia, volume XI,  Teologia della liturgia, Città del Vaticano 2008, pp. 605ss. Il lemma del Nuovo Dizionario di Liturgia è scritto da Eugenio Costa e Felice Rainoldi.
[13] Cfr. RENÉ BRANCOUR, op. cit., pp 209-213.
[14] Tutti nomi che si possono ritrovare anche nella letteratura vocale od organistica, oltre che nei documenti ecclesiastici, e che al di là delle sfumature di significato che assumono nella propria area linguistica denotano una volontà di demarcazione specifica.
[15] Cfr. BOEZIO, De institutione musica, trad. G. Marzi, Roma, 1990.
[16] ELENA FERRARI BARASSI, La materia prima sonora: gli strumenti musicali, in Atlante storico della musica nel Medioevo, Milano 2011, pp. 198ss.
[17] Cfr. NICOLAS SCHALZ, La nozione di musica sacra, in Rivista Liturgica, 1972-2, p.183-207. In particolare sull’organo la pag. 203, in cui l’autore afferma: “Sfortunatamente la Costituzione conciliare sulla Liturgia e la stessa Istruzione del 1967 sulla musica nella Liturgia conservano questo atteggiamento nei confronti dell’orgao. I capitoli che ne trattano sono i meno felici di questi documenti”.
[18]BENEDETTO XVI,  Saluto per la Benedizione del nuovo organo della Alte Kapelle di Regensburg, 13 settembre 2006, in :  http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060913_alte-kapelle-regensburg_it.html
[19] Ibidem.
[20] “L’orgue, le seul concert, le seul gémissement / Qui mêle aux Cieux la terre”.  In VICTOR HUGO, Les Chants du crépuscule, XXXIII: Dans l’eglise de ***, I. (1835) .
[21] A proposito degli strumenti musicali nella liturgia Musica sacram aggiunge ulteriori specificazioni rispetto al dettato conciliare: “Nel permettere l'uso degli strumenti musicali e nella loro utilizzazione si deve tener conto dell'indole e del
le tradizioni dei singoli popoli. Tuttavia gli strumenti che, secondo il giudizio e l'uso comune, sono propri della musica profana, siano tenuti completamente al di fuori di ogni azione liturgica e dai pii e sacri esercizi. Tutti gli strumenti musicali, ammessi al culto divino, si usino in modo da rispondere alle esigenze dell'azione sacra e servire al decoro del culto divino e alla edificazione dei fedeli.” (n° 63). Ancora una volta la connotazione culturale è determinante per l’ammissione o meno di uno strumento nella liturgia.
[22] Cfr. JOSEPH RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo 2001.
[23] Cfr. GILBERTO SESSANTINI, L’organo nella liturgia tra Cinque e Seicento, in AA.VV. , L’Organo Antegnati 1558-1996, Almenno S. Salvatore (BG), 1996, pp. 61-67.

giovedì 18 ottobre 2012

la liturgia si celebra per Dio e non per noi stessi; è opera sua; è Lui il soggetto


Catechesi di Benedetto XVI durante l'Udienza Generale del 3 ottobre 2012
Sintesi a cura di Giuseppe Capoccia.
Sottolineature nostre


[…] Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo: «Nella liturgia della Nuova Alleanza, ogni azione liturgica, specialmente la celebrazione dell’Eucaristia e dei sacramenti, è un incontro tra Cristo e la Chiesa» (n. 1097); quindi è il «Cristo totale», tutta la Comunità, il Corpo di Cristo unito al suo Capo che celebra. La liturgia allora non è una specie di «auto-manifestazione» di una comunità, ma è invece l’uscire dal semplice «essere-se-stessi», essere chiusi in se stessi, e l’accedere al grande banchetto, l’entrare nella grande comunità vivente, nella quale Dio stesso ci nutre. La liturgia implica universalità e questo carattere universale deve entrare sempre di nuovo nella consapevolezza di tutti. La liturgia cristiana è il culto del tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio. E’ il culto del cielo aperto. Non è mai solamente l’evento di una comunità singola, con una sua collocazione nel tempo e nello spazio. E’ importante che ogni cristiano si senta e sia realmente inserito in questo «noi» universale, che fornisce il fondamento e il rifugio all’«io», nel Corpo di Cristo che è la Chiesa.

In questo dobbiamo tenere presente e accettare la logica dell’incarnazione di Dio: Egli si è fatto vicino, presente, entrando nella storia e nella natura umana, facendosi uno di noi. E questa presenza continua nella Chiesa, suo Corpo. La liturgia allora non è il ricordo di eventi passati, ma è la presenza viva del Mistero Pasquale di Cristo che trascende e unisce i tempi e gli spazi. Se nella celebrazione non emerge la centralità di Cristo non avremo liturgia cristiana, totalmente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza creatrice. Dio agisce per mezzo di Cristo e noi non possiamo agire che per mezzo suo e in Lui. Ogni giorno deve crescere in noi la convinzione che la liturgia non è un nostro, un mio «fare», ma è azione di Dio in noi e con noi.
Quindi, non è il singolo - sacerdote o fedele - o il gruppo che celebra la liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività. Questa universalità ed apertura fondamentale, che è propria di tutta la liturgia, è una delle ragioni per cui essa non può essere ideata o modificata dalla singola comunità o dagli esperti, ma deve essere fedele alle forme della Chiesa universale.

Anche nella liturgia della più piccola comunità è sempre presente la Chiesa intera. Per questo non esistono «stranieri» nella comunità liturgica. In ogni celebrazione liturgica partecipa assieme tutta la Chiesa, cielo e terra, Dio e gli uomini. La liturgia cristiana, anche se si celebra in un luogo e uno spazio concreto ed esprime il «sì» di una determinata comunità, è per sua natura cattolica, proviene dal tutto e conduce al tutto, in unità con il Papa, con i Vescovi, con i credenti di tutte le epoche e di tutti i luoghi. Quanto più una celebrazione è animata da questa coscienza, tanto più fruttuosamente in essa si realizza il senso autentico della liturgia.

La Chiesa si rende visibile in molti modi: nell’azione caritativa, nei progetti di missione, nell’apostolato personale che ogni cristiano deve realizzare nel proprio ambiente. Però il luogo in cui la si sperimenta pienamente come Chiesa è nella liturgia: essa è l’atto nel quale crediamo che Dio entra nella nostra realtà e noi lo possiamo incontrare, lo possiamo toccare. È l’atto nel quale entriamo in contatto con Dio: Egli viene a noi, e noi siamo illuminati da Lui. Per questo, quando nelle riflessioni sulla liturgia noi centriamo la nostra attenzione soltanto su come renderla attraente, interessante bella, rischiamo di dimenticare l’essenziale: la liturgia si celebra per Dio e non per noi stessi; è opera sua; è Lui il soggetto; e noi dobbiamo aprirci a Lui e lasciarci guidare da Lui e dal suo Corpo che è la Chiesa.

domenica 14 ottobre 2012

L’abbé Barthe sulla messa del Cardinal Cañizares in San Pietro a Roma: «Una riunione di famiglia»




Il Coetus Internationalis Summorum Pontificum ha recentemente annunciato il programma della giornata conclusiva del Pellegrinaggio "Una cum Papa nostro", che si terrà a Roma dal 1° al 3 novembre 2012. Senza eccessivo clamore, il CISP svela così anche il nome del celebrante della messa di chiusura del pellegrinaggio, sabato 3 novembre alle h. 15 nella basilica di San Pietro a Roma: niente meno che il Prefetto del Culto Divino, il Cardinale Antonio Cañizares Llovera.

Per comprendere la portata di tale celebrazione, abbiamo chiesto al cappellano del pellegrinaggio, l’abbé Claude Barthe, il senso della partecipazione del Prefetto del Culto Divino al pellegrinaggio stesso.
Abbè Barthe: Considerati i fini spirituali della celebrazione nella Basilica Vaticana, il fatto che il celebrante sia il Cardinale Antonio Cañizares Llovera è particolarmente commovente. Sappiamo, infatti, che la celebrazione è destinata:

 - ad offrire una S. Messa nella forma straordinaria di ringraziamento e di supporto filiale al Santo Padre nel quinto anniversario del Motu Proprio Summorum Pontificum;

-a manifestare l'amore dei pellegrini per la Chiesa e la loro fedeltà alla Sede di Pietro;

- ad esprimere visibilmente il contributo della liturgia tradizionale alla nuova evangelizzazione che il Santo Padre intende promuovere con l'Anno della Fede.

Ora, la qualità del celebrante, che è il responsabile della Liturgia romana in nome del Papa, dà a questo omaggio un particolare rilievo. Il Card. Cañizares Llovera, infatti, ha già celebrato più volte e in diversi luoghi la Messa nella forma straordinaria, segnatamente in occasione di ordinazioni sacerdotali, nella maggior parte dei casi su invito delle Comunità Ecclesia Dei, ma anche per i Francescani dell’Immacolata, e sempre con grande benevolenza. Ma oggi c’è di più: la messa sulla Tomba di Pietro sarà certamente solenne, ma anche “popolare”. Infatti, la folla di coloro che, grazie al Motu Proprio Summorum Pontificum, possono beneficiare nelle loro parrocchie della messa nella forma straordinaria - sacerdoti in cura d’anime, fedeli e seminaristi diocesani - si ritroverà intorno al card. Canizares che, in quanto delegato del Santo Padre per la liturgia, in quel giorno sarà un po’ come il “parroco” universale di tutti loro. Sacerdoti, fedeli e seminaristi canteranno la Missa de Angelis in San Pietro a Roma, proprio come fanno, o dovrebbero ormai poter fare, ogni domenica nelle loro parrocchie.

Per chi conosce il carattere sensibile e affettuoso del cardinale, nonché il credo liturgico che questi semplici e comuni fedeli testimonieranno riconoscenti al Santo Padre, la celebrazione accanto a Don Antonio assume l’aspetto di una calorosa riunione di famiglia.



Fonte: Risposte catholique (www.riposte-catholique.fr).

giovedì 11 ottobre 2012

Cronaca scaligera

Colloqui sulla musica sacra: 
cinquant'anni dal Concilio Vaticano II
alla luce del magistero di Benedetto XVI

6 ottobre 2012
- Verona -

di Giannicola D'Amico


Alla presenza di numerosi studiosi e di un folto pubblico, si è svolto il 6 ottobre scorso presso la Biblioteca Capitolare di Verona, luogo simbolo per la cultura italiana ed europea, il secondo incontro nazionale promosso dalla nostra Scuola, fra i previsti «Colloqui sulla musica sacra: cinquant'anni dal Concilio Vaticano II alla luce del magistero di Benedetto XVI» che, diversamente dal primo, celebrato a Lecce il 19 maggio scorso, dal taglio più storico-estetico, ha proposto un momento di confronto sulla questione giuridico- teologica del rapporto musica/liturgia, nel Magistero della Chiesa.
I lavori, dopo i saluti del Vescovo mons. Giuseppe Zenti e del direttore del Conservatorio (ente fra i patrocinatori dell'evento) M° Hugh Ward Perkins, hanno preso avvio dall'esteso contributo circa le radici giuridiche della musica sacra e liturgica di S.Em. il card. Raymond L. Burke, Prefetto del Supremo tribunale della Segnatura Apostolica. 

Dopo una breve premessa di ordine generale, alla luce dell’ancor attuale magistero di San Pio X e delle direttive di Papa Benedetto XVI, S.Em. Burke si è soprattutto soffermato sui criteri cui deve rispondere una «giusta» musica per il servizio divino, e cioè di non essere arte a sé stante, ma sempre al servizio della liturgia, nella triplice dimensione di qualità che risponda allo stesso tempo a dettami di santità, bellezza (arte vera) e universalità, aliena da quegli eccessivi estetismi che negli ultimi tempi hanno portato la composizione contemporanea ad essere una produzione per un ristrettissimo numero di specialisti. 
Dopo ripetuti richiami alle Scritture, il card. Burke ha richiamato il profondo legame che la musica deve mantenere con la Parola, creatrice e datrice di Senso, aggiungendo che il lavoro dell'artista in ambito sacro è sempre un atto di obbedienza al Magistero. 

Don Nicola Bux, consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, nel rammentare i profondi legami teologici fra musica e liturgia, soprattutto nelle opere di Joseph Ratzinger, ha sottolineato la difficoltà, dopo il Concilio, da parte della Chiesa, di avere un repertorio unificato, e ha ribadito fortemente il concetto per cui non ogni forma o stile musicale sia adatto a rendere il servizio liturgico, invitando con vibrati accenti a rivalutare  l'immenso patrimonio del canto gregoriano, depositario della più perfetta identità musico-liturgica che la storia della Chiesa ci abbia consegnato in venti secoli di storia. 

S.Em. il card. Raymond L. Burke. Alla sua sinistra,
don Nicola Bux; alla sua destra, il m. Giannicola D'Amico
Don Gilberto Sessantini, maestro di cappella del Duomo di Bergamo, ha tenuto una applauditissima relazione circa l'importanza del recupero dell'organo come strumento principe della liturgia, soppiantato, a seguito di malaugurate spinte innovative post sessantottesche, da strumenti non sempre adatti a supportare degnamente la sacralità degli atti di culto, come a volte irrispettosi della santità dei luoghi in cui viene celebrata la divina Liturgia. 
Ha ribadito che già soltanto in ambito puramente culturale il timbro dell'organo suggerisce il concetto di sacro, anche in contesti «altri», per questo l'aerofono a tastiera conserva una primazia di carattere tecnico, ma anche simbolico, che la Chiesa dovrebbe maggiormente rivalutare. 

Mario Lanaro, compositore e docente presso il Conservatorio scaligero, ha parlato delle programmazioni concertistiche e musicali nelle chiese, lamentando l'urgenza di un ritorno alla competenza e al livello qualitativo delle scelte e di maggiore rispetto per i luoghi e i tempi liturgici, anche perché esistono precise direttive di legge canonica e di amministrazione ecclesiastica in materia. 
Richiamandosi agli scritti del cardinale Ratzinger, il M° Lanaro ha raccomandato una maggiore responsabilizzazione dei vari gestori dei concerti sacri, dai presentatori, agli organizzatori, dagli esecutori allo stesso pubblico, quasi mai adeguatamente “catechizzato” circa questi momenti di elevazione culturale e spirituale. 

Ha chiuso il convegno P. Marco Repeto, prefetto della Musica dell'Oratorio di Verona, il quale  ha caldeggiato l'assoluta necessità del ripristino del recitativo liturgico nell'educazione dei chierici, della formazione canora dei ministri e dei futuri sacerdoti che rappresenteranno, all’Altare di Dio, la persona di Cristo: la cantillazione, forma antichissima di espressione liturgica, è tuttora fondamentale perché, attraverso di essa, la Parola di Dio proferita conserva e trasmette un sommo rispetto della sacralità del testo.
Padre Repeto ha insistito in tal senso sullo sforzo didattico che si deve intraprendere  nella formazione dei seminaristi, parlando di un clero italiano "accidioso" dal punto di vista musicale, così suscitando un po’ di (amara) ilarità nel pubblico presente.

La giornata, come consuetudine della manifestazioni promosse dalla Scuola Ecclesia Mater, si è conclusa con la celebrazione pomeridiana nella chiesa di San Fermo Minore della Messa solenne in latino, secondo la forma ordinaria del Rito romano, presieduta da S.Em. il card. Burke.
Una nobile, ma al contempo semplice celebrazione (come desiderava il Concilio), impreziosita dal degnissimo allestimento dell’altar maggiore e dai preziosi paramenti custoditi dalla Sagrestia dell’Oratorio scaligero, dal servizio all’altare sovrinteso da p. Samuele Berta (il quale ha dovuto sostituire mons. Marco Agostini, precettato fuori tempo massimo dalla preparazione del Sinodo dei Vescovi), come dalla musica preparata dal gruppo musicale brillantemente diretto da Letizia Butterin, che ha eseguito la Missa IX “Orbis factor”, oltre a brani di Palestrina, Bartolucci e Giovanni Geraci (giovane compositore già allievo del PIMS, ente fra i patrocinatori dell’evento).
Ognuno ha cantato la sua parte: il celebrante, il diacono – in maniera molto efficace -, il salmista, la schola, il popolo, nel rispetto della Liturgia e senza “appropriazioni indebite”!

L’appuntamento è ora a Roma, a fine anno, per il terzo conclusivo Colloquio nazionale fra quelli previsti nell’occasione del Giubileo conciliare.


mercoledì 3 ottobre 2012

“Al termine del giorno…..” In memoria di p. Anselmo Susca


di Giannicola D'Amico

Nella serata del 1° ottobre, all’ora di Compieta, padre Anselmo Susca ha concluso la sua battaglia terrena e si è addormentato nel Signore: il padre Abate, in ossequio a quella Regola di S. Benedetto che è supremo modello di umanità, mentre gli portava la buonanotte, lo ha trovato serenamente spirato.

Uomo tenace, docente esperto e monaco esemplare, padre Anselmo sarà da tutti ricordato quale autentico apostolo del canto liturgico, custode zelante e promotore instancabile del canto gregoriano di cui è stato interprete raffinato e maestro esigente.

Monaco dell’Abbazia della Madonna della Scala a Noci, con oltre settant’anni di professione religiosa nell’obbedienza sublacense, fu per molti anni docente presso il Conservatorio di Bari e fiduciario del M° Nino Rota, quando fu aperta la sezione distaccata di quell’istituto a Monopoli, con gli auspici dell’indimenticato sen. Russo.

Instancabile promotore, anche con la collaborazione del grande Nino Rota, di memorabili corsi di canto gregoriano durante gli anni Sessanta, presso l’abbazia nocese, che raccolsero il fiore degli esperti europei di musica sacra e liturgica di quegli anni, fra cui Agustoni, Eccher, Bartolucci, Baratta, Celeghin, Migliavacca, Altisent, Haberl, Wiesli, Arendt, Carraiz, Biella, Cardine, li rievocò negli anni Ottanta e ultimamente, con infaticabile forza di volontà, nell’estate 2011 e 2012, con la collaborazione del Centro Studi J. Claire di Verona di mons. Turco e il patrocinio della nostra scuola.

Autore di numerose pubblicazioni specialistiche sul canto gregoriano, oltre che di una miriade di articoli e contributi di vario genere, fondò e diresse fino a tempi recenti il Coro Novum Gaudium e l’omonimo centro studi, nel contempo portando la formazione corale a intervenire ad importanti rassegne internazionali ed eventi culturali di spicco (come la “sperimentale” partecipazione a Time zones nel 1994), facendola divenire un punto di riferimento in tutto il Meridione, per lo studio e l’esecuzione del canto gregoriano: una autentica fucina di formazione al vero canto liturgico ed alla Bellezza suprema che da esso promana.

Oltre a numerose incisioni, ad altrettanto molteplici trascrizioni di autori antichi, ed alla instancabile collaborazione con sodalizi musicali importanti per la nostra regione, come l’Ass. “Traetta” di Bitonto ed il Festival Organistico Internazionale di Lecce, a lui si deve l’educazione di diverse generazioni di musicisti pugliesi alla musica antica e al canto gregoriano.

Voce alquanto inascoltata dagli Uffici Liturgici che raramente hanno accolto negli ultimi decenni i suoi preziosi suggerimenti, egli trovava supremo conforto nel vedere in tanti giovani ancora ardente la passione per il gregoriano: quest’estate con incrollabile volontà di sfidare l’ingravescente malattia, ha offerto l’ultimo suo contributo di docente e di gregorianista. 
Una sorta di vero e proprio testamento spirituale.

Appena lo scorso 28 settembre noi della Scuola Ecclesia Mater lo avevamo incontrato presso il  Monastero, perché da tempo desideravamo che l’atto costitutivo della Scuola lo avesse quale testimone d’eccezione, modello straordinario di una vita dedicata a render gloria a Dio attraverso il canto gregoriano: ed in quella occasione, padre Anselmo, seppur con un filo di voce, ma con fermezza ci aveva incoraggiati a proseguire nell’impegno per difendere e promuovere la musica sacra.

martedì 2 ottobre 2012

Requiem

Comunicazione da parte dei Monaci dell'Abbazia Madonna della Scala - Noci


Comunichiamo dall'Abbazia Madonna della Scala in Noci (Ba) che ieri sera 1 ottobre 2012 alle ore 21 circa è morto il
p. Anselmo Susca

La Messa esequiale sarà celebrata domani 3 ott. alle ore 16