Sante Messe in rito antico in Puglia

domenica 29 luglio 2012

L'uso di dare la Comunione in bocca può risalire a Gesù?


di Nicola Bux


Il Santo Padre, non solo pronunziò il noto discorso del 22 dicembre sull' interpretazione del concilio ecumenico Vaticano II, che invitava a compiere nel senso della riforma in continuità con la tradizione della Chiesa (Ecclesia semper reformanda), ma lo ha pure messo in pratica nella liturgia. In primis, facendo ricollocare il Crocifisso dinanzi a sè sull'altare, in modo che la preghiera del sacerdote e dei fedeli sia "rivolta al Signore". 

Qui però, mi soffermo sulla seconda 'innovazione' di Benedetto XVI: l'amministrazione della S.Comunione ai fedeli, in ginocchio e in bocca. Dico 'innovazione', rispetto al noto indulto che in diverse nazioni consente di riceverla sulla mano.Infatti, si ritiene da non pochi, che solo nella tarda antichità-alto medioevo, la Chiesa d'Oriente e d'Occidente abbia preferito amministrarla in tal modo. Allora, Gesù ha dato la Comunione agli Apostoli sulla mano o chiedendo di prenderla con le proprie mani?

Visitando la mostra del Tintoretto a Roma, ho osservato alcune 'Ultime Cene' in cui Gesù dà la Comunione in bocca agli Apostoli: si potrebbe pensare che si tratti di una interpretazione del pittore ex post, un po' come la postura di Gesù e degli apostoli a tavola nel Cenacolo di Leonardo, che 'aggiorna' alla maniera occidentale l'uso giudaico dello stare invece reclinati a mensa. Però, riflettendo ulteriormente, l'uso di dare la S.Comunione direttamente in bocca al fedele, può essere ritenuto non solo di tradizione giudaica e quindi apostolica, ma anche risalente al Signore Gesù. Gli ebrei e gli orientali in genere, avevano ed hanno ancor oggi l'usanza di prendere il cibo con le mani e di metterlo direttamente in bocca all'amata o all'amico. Anche in occidente lo si fa tra innamorati e da parte della mamma verso il piccolo ancora inesperto.Si capisce così  il testo di Giovanni 13,26-27: "Gesù allora gli (a Giovanni) rispose: 'E' quello a cui darò un pezzetto di pane intinto'. Poi, intinto un pezzetto di pane, lo diede a Giuda di Simone Iscariota. E appena preso il boccone il satana entrò da lui". Mons.Athanasius Schneider ha compiuto ottimi approfondimenti nel suo libro Dominus est, Lev 2009.

Che dire però dell'invito di Gesù: "Prendete e mangiate"..."Prendete e bevete" ?
Prendete (in greco: lavete; in latino: accipite), significa anche "ricevete". Se il boccone è intinto, non lo si può prendere con le mani, ma ricevere direttamente in bocca. Vero è che Gesù ha consacrato separatamente pane e vino, ma, se durante il Mistico Convito - come lo chiama l'Oriente - ossia l'Ultima Cena, i due gesti consacratori avvennero, come sembra, in tempi diversi della Cena pasquale - quando gli Apostoli, forse aiutati dai sacerdoti giudaici che si erano convertiti (Atti 6,7) quali esperti diremmo così nel culto, li unirono all'interno della grande preghiera eucaristica - la distribuzione del pane e del vino consacrati fu collocata dopo l'anafora, dando origine al rito di Comunione. Agli inizi, le comunità cristiane erano piccole e i fedeli facilmente identificabili. Con l'estendersi della cristianità, nacquero le esigenze di precauzione: affinchè le sacre specie fossero amministrate con riverenza e evitando la dispersione dei frammenti, che contengono il Signore realmente e interamente. Pian piano prende forma la Comunione sotto le due specie, date consecutivamente o per intinzione.
Infine in occidente, ordinariamente sotto la sola specie del pane, perchè la dottrina cattolica, garante san Tommaso, insegna che il Signore Gesù è tutto intero in ciascuna specie (Catechismo della Chiesa Cattolica 1377). 

Però, dai sostenitori della Comunione sulla mano, si fa appello a san Cirillo di Gerusalemme, il quale, chiedendo ai fedeli di fare della mano un trono al momento di ricevere la Comunione, vuol dire che consegnava la specie del pane sulla mano. Ritengo sommessamente che l'invito a disporre le mani in tal modo, possa essere inteso non al fine di riceverla in esse, ma a protenderle, anche inchinando il capo, in un unico atto di adorazione, oltre che per prevenire la caduta di frammenti. Infatti, per l'innato senso del sacro, molto forte in Oriente, si affermava sempre più la riverenza verso il Sacramento con le precauzioni nell'assumere la Comunione in bocca, per molteplici ragioni, tra cui quella di non poter garantire mani pure e in specie la salvaguardia dei frammenti. Questo nella Catechesi Mistagogica 21.
Ciò rende più comprensibile la sentenza di sant'Agostino: "nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando". Non si deve mangiare il Corpo del Signore senza averlo prima adorato. Benedetto XVI l'ha richiamata significativamente proprio nel suaccennato discorso sull'interpretazione del Vaticano II e poi nell'Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis 67.

Ancora Cirillo o i suoi successori, nella Catechesi Mistagogica 5,22, invita a "Non stendere le mani, ma in un gesto di adorazione e venerazione (tropo proskyniseos ke sevasmatos) accostati al calice del sangue di Cristo". Di modo che, l'apostolo fa proskinesis, la prostrazione o inchino fino a terra - simile alla nostra genuflessione - protendendo allo stesso tempo le mani come un trono, mentre dalla mano del Signore riceve in bocca la Comunione. Così sembra efficacemente raffigurato dal Codice purpureo di Rossano, risalente tra la fine del V e l'inizio del VI secolo d.C., un Evangelario greco miniato composto sicuramente in ambiente siriaco.
Dunque, non deve meravigliare il fatto che la tradizione pittorica orientale e occidentale,dal V al XVI secolo abbia raffigurato Cristo che fa la Comunione agli apostoli direttamente sulla bocca. 
Il Santo Padre, in continuità con la tradizione universale della Chiesa, ha ripreso il gesto. Perchè non imitarlo? Ne guadagnerà la fede e la devozione di molti verso il Sacramento della Presenza, specialmente in un tempo dissacratorio come quello odierno.




sabato 21 luglio 2012

Quando celebrare? /1: Il tempo liturgico (CCC 1163-1165)



Rubrica di teologia liturgica a cura di Don Mauro Gagliardi

di Nicola Bux*


CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 2 maggio 2012 (ZENIT.org).- La Chiesa celebra ogni anno la redenzione compiuta da Gesù Cristo, a cominciare dalla domenica, il giorno della settimana che prende il nome dal Signore risorto, fino a culminare nella grande solennità nella Pasqua annuale. Ma sono tutti i misteri della vita di Cristo ad essere passati in rassegna e a farsi presenti: in che senso? Se Cristo è contemporaneo ad ogni uomo in ogni tempo, le sue azioni, in quanto Figlio di Dio, non sono fatti del passato ma atti sempre presenti in ogni tempo, con tutti i loro meriti, che perciò arrecano salvezza a quanti ne fanno memoria (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica [CCC], 1163). Le azioni di Gesù Cristo sono eterne come le sue parole: comunicano e spiegano la vita; perciò non passano, a cominciare dall’atto supremo del suo sacrificio sulla croce; questo è ripresentato o rinnovato, come dice ancora il Catechismo, in quanto non è mai passato, ma è sempre presente. E noi ne facciamo memoria, obbedendo all’invito di Lui: «Fate questo in memoria di me».

Forse è cruciale comprendere il concetto di memoria per capire il tempo liturgico: esso non significa il ricordo del passato, ma la capacità dell’uomo, da Dio donata, di comprendere in unità nell’oggi il passato e il futuro. In effetti, l’uomo che perde la memoria, non solo dimentica il passato, ma non comprende chi egli è al presente, e tanto meno può proiettarsi nel futuro.

Poi, nel fluire del tempo vi sono le feste cristiane – festum sta a ricordare qualcosa a cui si accorre, ci si affretta, si celebra, ossia si frequenta numerosi – ma anche i giorni feriali nei quali non si è necessariamente in molti, eppure ugualmente si fa memoria di Cristo, il quale è oggi e sempre. Le feste sono in gran parte la continuazione e il compimento di quelle giudaiche, a cominciare dalla Pasqua.
Non basta commemorarle, o meglio le si commemora rendendo grazie – perciò le feste si celebrano essenzialmente con l’Eucaristia –, ma è necessario anche tramandarle alle nuove generazioni e conformare ad esse la propria vita. La moralità dell’uomo dipende dalla memoria di Dio, dice sant’Agostino nelle Confessioni: più si festeggia il Signore, potremmo dire, e più si diventa morali. Il tempo liturgico si rivela così tempo della Chiesa, collocato tra la Pasqua storica e l’avvento del Signore alla fine dei tempi. Il mistero di Cristo, attraversando il tempo, fa nuove tutte le cose. Perciò ogni volta che facciamo festa, riceviamo la grazia che ci rinnova e ci trasforma (cf. CCC, 1164).

Ma nel lessico teologico-liturgico c’è un avverbio temporale che racchiude bene il tempo liturgico: «oggi», in latino hodie, in greco kairòs. La liturgia, specialmente nelle grandi feste, afferma che Cristo oggi è nato, oggi è risorto, oggi è asceso al cielo. Non è una trovata: Gesù stesso diceva: «oggi è entrata la salvezza in questa casa...», «oggi sarai con me in paradiso». Con Gesù, Figlio di Dio, il tempo dell’uomo è «oggi», è presente. È lo Spirito Santo che fa questo, con la sua irruzione nel tempo e nello spazio. In Terra Santa, la liturgia aggiunge anche l’avverbio di luogo: «qui», hic. Lo Spirito di Gesù risorto fa entrare l’uomo nell’«ora» di Dio che è venuta in Cristo e che attraversa il cosmo e la storia. Con la citazione dello Pseudo-Ippolito, il Catechismo ricorda che, per noi che crediamo in Cristo, è sorto un giorno di luce, lungo, eterno, che non si spegnerà più: la Pasqua mistica (CCC, 1165).

Abbiamo esordito affermando che Gesù è nostro contemporaneo: perché è il Figlio di Dio, il Vivente entrato nella storia. Senza di Lui l’anno e le feste liturgiche sarebbero vuote di senso e prive di efficacia per la nostra vita. «Cosa significa affermare che Gesù di Nazaret, vissuto tra la Galilea e la Giudea duemila anni fa, è “contemporaneo” di ciascun uomo e donna che vive oggi e in ogni tempo? Ce lo spiega Romano Guardini, con parole che rimangono attuali come quando furono scritte: “La sua vita terrena è entrata nell’eternità e in tal modo è correlata ad ogni ora del tempo redento dal suo sacrificio... Nel credente si compie un mistero ineffabile: Cristo che è ‘lassù’, ‘assiso alla destra del Padre’ (Col 3,1), è anche ‘in’ quest’uomo, con la pienezza della sua redenzione; poiché in ogni cristiano si compie di nuovo la vita di Cristo, la sua crescita, la sua maturità, la sua passione, morte e risurrezione, che ne costituisce la vera vita”(R. Guardini, Il testamento di Gesù, Milano 1993, p. 141)» (Benedetto XVI, Messaggio al Convegno “Gesù nostro contemporaneo”, 09.02.2012).

Il giorno di Cristo, il giorno che è Cristo, costituisce il tempo liturgico. Chiunque segue Lui, si offre a Lui, si unisce al suo sacrificio vivente con tutto se stesso, compie l’opera di Dio, cioè fa liturgia.
Il tempo liturgico richiama la dimensione cosmica della creazione e della redenzione del Signore che ha ricapitolato in sé tutte le cose, tutto il tempo e lo spazio. Per questo la preghiera cristiana, la preghiera di coloro che adorano il vero Dio, è rivolta a Oriente, punto cosmico dell’apparizione della Presenza. E il tempo e lo spazio liturgici l’hanno fissato specialmente nella Croce, a cui rivolgersi per guardare al Signore. Come ripristineremo la percezione tra noi del tempo liturgico? Guardando a Cristo, principio e fine, alfa e omega dell’Apocalisse, che fa nuove continuamente tutte le cose. Proprio il simbolismo della Pasqua, con l’accensione del cero, sta a ricordarlo.

* Don Nicola Bux è Professore di Liturgia orientale a Bari e Consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede, per le Cause dei Santi, per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; nonché dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

venerdì 13 luglio 2012

Don Nicola Bux: "La Chiesa non è un concilio permanente"

fonte: la rivista francese "Risposte catholique"

traduzione dal francese

In un'intervista esclusiva concessa a “Riposte catholique”, don Nicola Bux, Consultore di diverse congregazioni romane, uomo vicino al Santo Padre, conferma che "l'analisi critica" del Vaticano II è legittima e che il Papa desidera con tutto il cuore la riconciliazione con Ecône.




1 - Don Nicola Bux, assieme al cardinale Brandmuller e a Monsignor Marchetto, lei ha recentemente pubblicato un opera in cui espone le chiavi interpretative del Concilio da parte di Benedetto XVI (1). Ora è precisamente la questione dell'interpretazione del Concilio e del valore del suo magistero che il mese scorso ha rallentato la regolarizzazione canonica della Fraternità San Pio X. Nell'ultimo documento sottoposto a Monsignor Fellay il 13 giugno, gli incaricati alla sua redazione avrebbero in effetti reintrodotto l'esigenza di riconoscere da parte della Fraternità l'autorità del Concilio nella sua interezza. Sembra dunque che a Roma ci siano molti modi differenti di intendere l'"ermeneutica della continuità": se da parte di alcuni si pone come principio base il riconoscimento preliminare del Vaticano II, altri fanno del Concilio stesso l'oggetto della critica (De Mattei), mentre una terza interpretazione sarebbe quella di ragionare sul
valore del magistero del Concilio (in questa linea l'abbé Barthe parla di "magistero incompiuto"). E' davvero così e si può sperare che Roma faccia un passo indietro sull'esigenza di un riconoscimento integrale del Concilio? Possiamo accostare Monsignor Di Noia, il nuovo vicepresidente della PCED, a questa terza linea interpretativa?Lui ha infatti dichiarato all'agenzia CNS che "I testi conciliari non si devono leggere secondo il punto di vista dei liberali presenti al Concilio"e che "È possibile avere dissensi ed essere comunque in comunione col Papa"ha spiegato anche di avere il compito di dover "aiutarli a trovare una formula che rispetti la loro specifica integrità teologica. È vicina l'intesa finale?

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, va innanzitutto collocato nella lunga storia della Chiesa, da cui risulta la continuità con quelli che l'hanno preceduto, pur con le sue caratteristiche proprie, che costituiscono anche una novità. In che senso? Innanzitutto perché lo Spirito che assiste la Chiesa fa nuove tutte le cose. Poi, perché la tradizione è ricevere e trasmettere.  
Il rinnovamento, o riforma, dunque, avviene nella continuità, tema trattato alla luce del binomio inscindibile, per la Chiesa Cattolica, "nova et vetera". E' del resto la corretta ermeneutica la prima “chiave” indicata da Sua Santità Benedetto XVI nel famoso discorso alla Curia Romana per quel che concerne l'interpretazione e l'ecumenicità del Vaticano II. 
I suoi documenti sono stati decontestualizzati  rispetto alla Tradizione della Chiesa e spesso usati come espressione dell' “aggiornamento”(che avrebbe dovuto mettere insieme nova et vetera), mitizzandolo però e facendo valere solo il nuovo. Così lo si trasformava in una sorta di ideologia, in un “superdogma”, come ebbe a dire l'allora cardinal Joseph Ratzinger ai vescovi cileni.   
Dunque occorre una veritiera presentazione storica del Vaticano II,  inteso come strumento di “aggiornamento, [cioè] di rinnovamento nella Tradizione”. 
Un punto piuttosto trascurato nel discorso sul Vaticano II è quello del consenso, ossia come si forma, il percorso che per raggiungerlo si deve compiere attraverso il dialogo tra opinioni, giungendo a scegliere una via di sintesi, si intende  sulla dottrina non definita e in  legittimo sviluppo; le nuove acquisizioni non necessariamente sono definitive e irreformabili, ma sono orientamenti o precetti del magistero straordinario per la Chiesa in sé e per la sua missione nel mondo. Non a caso, il magistero ordinario pontificio successivo le ha interpretate, chiarite e ulteriormente sviluppate. 
Si deve tener conto anche del diverso genere  dei documenti, che non sono tutti, nell'insieme e al loro interno, della stessa natura. Credo che in tal senso opererà Mons.Di Noia.  Perché non dovrebbe essere consentito anche per il Vaticano II quello studio critico che si è applicato del resto a tutti i concili?

2 - Un altro elemento che potrebbe lasciar pensare ad un ritardo nella riconciliazione tra Roma ed Écône, è la nomina di Monsignor Müller a Prefetto della Dottrina della Fede. Allo stesso tempo si è avuta però la nomina del Monsignor Di Noia come vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei. Nella nota di spiegazione della nomina di Müller emessa dalla Congregazione della Fede si affermava che: "La nomina di un Presule di alto rango (arcivescovo, NdR) a tale incarico è segno della sollecitudine pastorale del Santo Padre per i cattolici tradizionalisti in comunione con la Santa Sede e del suo grande desiderio di riconciliazione con le comunità tradizionaliste non in unione con la Sede di Pietro." E' Monsignor Di Noia l'uomo preposto dal Santo Padre per giungere finalmente al riconoscimento della Fraternità San Pio X? Gli uomini riusciranno a arrivare laddove lo Spirito Santo sembra aver così bene operato?


Sicuramente è questo l'intento del Santo Padre, al quale sta a cuore la riconciliazione e l'unità dei cristiani. Ogni cristiano, in base a quanto ho detto prima, deve amare la tradizione, quindi è “tradizionale” – meglio che tradizionalista. Nella Chiesa, chiunque riceve un incarico, non promuove le sue idee ma deve servire la verità, fedele all'insegnamento del Romano Pontefice. 
Perciò, abbiamo bisogno di una seconda 'chiave' per interpretare non solo il concilio Vaticano II, ma tutta la vita della Chiesa: la 'chiave' della fede, indicataci anche questa da Benedetto XVI con l'indizione dell'Anno della Fede. Infatti, tutto  il dibattito sul Vaticano II a cosa deve servire?  A riscoprire la natura del cristianesimo, che è necessario alla salvezza dell'uomo. Così, i cristiani con l'intelligenza della fede devono contribuire all'intelligenza della realtà. Questo è il contenuto essenziale della fede, e il Papa avverte l'urgenza di riannunciarlo di fronte a concezioni che la riducono a discorso o a sentimento o a etica. 
Bisogna pregare perché tutti nella Chiesa siano docili allo Spirito Santo, Spiritus unitatis.

3 - Monsignor Fellay si è molto esposto per favorire le condizioni per la riconciliazione. Come Superiore generale della Fraternità San Pio X, è depositario del carisma specifico di questa, ma anche dell'eredità di Monsignor Lefebvre, suo fondatore, ed è tenuto dunque a vegliare che l'uno e l'altra siano preservati. La Chiesa, d'altra parte, ha tutto l'interesse a che questo carisma particolare si eserciti pienamente al suo interno, come lei ha avuto già l'occasione di sottolineare facendosi interprete del pensiero del Papa. Qualche volta si ha però l'impressione che Roma non faciliti molto le cose a Monsignor Fellay attraverso decisioni che sembrano non tenere conto di questa sua doppia responsabilità. Non è semplicemente perché a Roma non si conosce quasi per niente l'universo tradizionalista e, in particolare, la FSSPX, la sua storia e i suoi protagonisti? Può essere anche una certa misconoscenza del pensiero del Papa che non desidera "spegnere" il vigore della FSSPX, ma soltanto indirizzarlo correttamente nella Chiesa?

Nella Lettera ai Vescovi, che Benedetto XVI scrisse per la revoca della scomunica, ha dimostrato di conoscere bene e amare questa ampia parte di fedeli, che sono pure suoi figli. I passi che ha compiuto sono ispirati dalla “pazienza dell'amore”, quella che secondo l'Apostolo deve caratterizzare tutti i discepoli di Gesù. Ritengo che anche il Superiore generale, Mons.Fellay, abbia operato nella medesima direzione e come tale tutta la Fraternità dovrebbe  seguirlo, in primis i Vescovi e sacerdoti, vincendo l'orgoglio che viene dal Maligno. Impariamo da Gesù che è mite e umile di cuore. Un vescovo, un sacerdote, un cristiano deve avere a cuore l'unità come il bene più prezioso, dice san Giovanni Crisostomo, che è costato il Sangue preziosissimo del Signore. Proprio prima della Passione, Egli che ha pregato: ut unum sint! 
Poi, anche se alcuni uomini errano, la Chiesa è indefettibile, perché Gesù l'ha fondata sulla roccia di fede costituita da Pietro, che “viene da pietra”, dice sant'Agostino. La sua unità è inamissibilis, non si potrà mai perdere, perché è come la tunica di Gesù, senza cuciture, tutta d'un pezzo, che proprio quest'anno è stata venerata solennemente a Treviri. Le divisioni dei cristiani non possono distruggere l'unità della Chiesa. 
Il primato del Papa è superiore al concilio. Né la Chiesa è un concilio permanente. A Pietro e ai suoi successori il Signore ha dato il “potere delle chiavi” di legare e sciogliere sulla terra e ciò simultaneamente Egli fa in cielo.  
Per fortuna, insieme alla Scrittura i cristiani hanno nel Papa un antivirus visibile contro il conformismo: il  «pastor de la Chiesa che vi guida», ammonisce Dante nel V canto del “Paradiso” – «questo vi basti a vostro salvamento». 

Dunque, la Fraternità Sacerdotale di San Pio X – proprio questo Santo Pontefice  lo sta chiedendo alla Beata Vergine Maria – accolga la riconciliazione e si fidi del Santo Padre, e così conoscerà un rinnovato sviluppo che andrà a beneficio di tutta la Chiesa cattolica. 



giovedì 12 luglio 2012

Taranto. Festa della Madonna del Carmine, Santa Messa in Rito Antico e nuovo Inno composto da Mons. Valentino Miserachs


Domenica prossima, 15 luglio, sarà celebrata a Taranto la Santa Messa in forma straordinaria, alle ore 20,15, nella piazza antistante la Chiesa del Carmine a Taranto.
Si tratta di un evento per diverse ragioni: si celebrerà all'aperto, su un palco appositamente predisposto, nella centralissima piazza Giovanni XXIII e la celebrazione interesserà un numero di fedeli grandemente superiore al già cospicuo gruppo stabile che abitualmente segue a Taranto la Messa "tradizionale". 
Per la prima volta inoltre dall'inizio dell'applicazione a Taranto del "Summorum Pontificum", la Santa Messa in forma extra ordinaria "entra" - o sarebbe meglio dire "torna" dopo più di 40 anni - nell'ambito dei festeggiamenti che l'Arciconfraternita del Carmine organizza in onore della propria Titolare. 
Sono festeggiamenti che, in ogni occasione e appuntamento, sin dall'inizio della novena di preparazione, vedono un gran concorso di fedeli: per moltissimi di loro si tratterà quindi del primo "incontro" con la Santa Messa "tradizionale". 
L'Arciconfraternita del Carmine, che conta attualmente circa 1800 componenti, fra Confratelli e Consorelle, è un sodalizio che sin dalla sua erezione canonica (nel 1675; ma la fondazione risale probabilmente a circa un secolo prima), si è reso benemerito nella città di Taranto, per le opere di carità e per la difesa e la conservazione delle tradizioni della pietà popolare, in particolare quelle legate al culto mariano ed eucaristico, e alla Settimana Santa. 
La sera del 15 luglio, la Santa Messa nella forma straordinaria sarà preceduta dalla solenne cerimonia di professione delle nuove Consorelle
La celebrazione della Santa Messa sarà curata come sempre dall'Ufficio Diocesano per la Liturgia.
Celebra mons. Marco Gerardo, Direttore dell'Ufficio e Padre Spirituale della Confraternita. I canti liturgici saranno eseguiti dalla Cappella Musicale "Una cum Angelis", della stessa Arciconfraternita, diretta da Antonio Perrella.
Nell'occasione, come antifona Mariana, a conclusione della Santa Messa, sarà eseguito l'Inno alla Madonna del Carmine, composto appositamente da Mons. Valentino Miserachs, e da lui donato alla nostra Cappella Musicale. 


sabato 7 luglio 2012

“Non praevalebunt”. I primi cinque anni della Summorum Pontificum

di Vito Abbruzzi

Il prossimo sette luglio la Lettera Apostolica “Motu Proprio data” sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, più comunemente conosciuta come Summorum Pontificum, compie cinque anni. Fu, infatti, data il sette luglio del 2007 dall'attuale Sommo Pontefice Benedetto XVI e da allora essa, in soli cinque anni, per dirla con una espressione felice della Universae Ecclesiae (la Istruzione del 30 aprile 2011 sull'applicazione della Summorum Pontificum), “ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana” (n. 1).
Adattando una frase del papa San Gregorio Magno, possiamo affermare che la scelta del 7 luglio 2007 (7.7.7) “non avvenne a caso, ma per divina disposizione” (Omelia, n. 26), se pensiamo che persino gli Acta Apostolicae Sedis riportano il testo della Summorum Pontificum alla pagina 777 e seguenti del volume 99 (anno 2007). Ed in vero è così! Il sette è il numero che esprime la perfezione divina e, dunque, “completa”; a differenza del sei (7–1), che indica la perfezione creaturale: una “perfezione non raggiunta” e non raggiungibile. A dircelo è il noto Dizionario di Teologia Biblica, di Xavier Leon-Dufour, alla voce Numeri, facendo esplicito riferimento ad Apocalisse 13, 18, in cui si parla del numero della famigerata “bestia”: 666. A ciò fa da contraltare l’invitto e vittorioso 777. Il sette luglio del 2007, difatti, segna la sconfitta di chi voleva l’affermazione assoluta di una Liturgia desacralizzata, così come è quella del Novus Ordo, con tutte le aberrazioni che tristemente conosciamo. È il caso qui di citare per intero quanto pubblicato sull’ANSA del 19 giugno scorso a proposito della “Liturgia oggi degradata a intrattenimento, a sorta di riunione di famiglia”: «Il mio auspicio è che il Papa scriva un’enciclica sulla Liturgia, proprio a partire dalla fede, e che i cardinali, i vescovi e i sacerdoti, lo assecondino di più su questi temi”. Così mons. Nicola Bux, docente alla Facoltà teologica pugliese e consultore presso le Congregazioni per la Dottrina della Fede e per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, commenta alla Radio Vaticana quanto detto dal Papa nel videomessaggio per la cerimonia conclusiva del Congresso Eucaristico internazionale di Dublino sul fatto che i desideri dei Padri Conciliari circa il rinnovamento liturgico sono stati oggetto di “molte incomprensioni ed irregolarità” e che “la revisione è rimasta ad un livello esteriore”. “Nonostante le indicazioni del Concilio – spiega Bux –, la liturgia è stata degradata da ‘atto di culto’ a una sorta di intrattenimento, a una riunione di famiglia. Ma non si tratta di un bene a nostra disposizione, è un ‘atto pubblico della Chiesa’ che viene regolato dalla Santa Sede e – come ricordava il Concilio – nessun altro, anche se sacerdote, può aggiungere, togliere o mutare alcunché di sua iniziativa in materia liturgica”. Quello che è avvenuto, “e che il Papa in qualche modo denuncia, è esattamente ciò che i Padri Conciliari non volevano. Molti hanno inteso la riforma come una rivoluzione e hanno messo al centro l’uomo, con la sua immancabile volontà di protagonismo, anziché Dio”. Secondo il docente, “abbiamo tolto dal centro il Santissimo Sacramento per mettere al suo posto noi chierici, in un momento in cui – come si vede dalle cronache – faremmo bene a metterci di lato, come ministri. Non lamentiamoci poi del decadimento dell’etica, anche nella Chiesa” – conclude Bux –. “Come ha ricordato Benedetto XVI con un’espressione forte, la crisi della Chiesa nasce proprio da una crisi della Liturgia”».
E, allora, per dirla coll’azzeccato titolo del fortunato libro di Bux, “come andare a Messa e non perdere la fede”? Ce lo spiega quel maestro inascoltato che fu l’abate Emanuele Caronti, primo e vero paladino del Movimento Liturgico in Italia, il quale aveva collaborato alla stesura della Mediator Dei di Pio XII, l’enciclica che in materia di Liturgia rappresentava, a suo dire, “il punto di arrivo invalicabile, la voce definitiva della Chiesa” (G. Lunardi, Uomo di Dio e della Chiesa. Ab. Emanuele Caronti O.S.B., ed. La Scala, Noci 1982, p. 168): «Nella Messa […] prevale il raccoglimento, e perciò la Chiesa ha sapientemente stabilito che i fedeli vi assistano stando sempre in ginocchio, eccettuato il tempo in cui si legge il santo Vangelo, che si deve ascoltare in piedi. Purtroppo l’uso prevalso presso i cristiani trascura quasi completamente questa prescrizione. Le nature odierne, deboli più nella fede che nella complessione fisica, stimano troppo grave fatica rimanersene in ginocchio durante una breve mezz’ora. Sull’altare si compie il grande sacrificio di espiazione per i tuoi peccati: non ti deve sembrare eccessivo un disagio corporale. D’altronde il sacrificio che tu farai, ti verrà abbondantemente ricompensato dai frutti spirituali che ritrarrai, qualora in unione colla Vittima divina potrai offrire al Padre le tue pene e i tuoi piccoli incomodi. […] Solo al momento augusto, quando il Verbo Incarnato nascondendosi sotto i veli eucaristici viene a visitare l’umanità ed offrirsi nuovamente Vittima per i di lei peccati, e cibo per le anime fedeli, la Chiesa domanda le tue profonde adorazioni e i tuoi pii raccoglimenti. Per norma della tua condotta troverai notate […] le varie posizioni da prendersi durante la Messa […]: tu le eseguirai fedelmente, perché nella liturgia tutto è venerabile e pieno di mistero» (E. Caronti, Il Messale festivo per i fedeli, ed. L.I.C.E., Torino 1932, pp. XV-XVI).
“Chi ha orecchi per intendere intenda!” (Mc 4, 9); “ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2, 29) attraverso la voce autorevole di Pietro, il Romano Pontefice, che il 29 giugno scorso nella Basilica vaticana, durante l’omelia della “Santa Messa e imposizione del Pallio ai nuovi Metropoliti” ha ribadito la forte e «chiara promessa di Gesù: “le porte degli inferi”, cioè le forze del male, non potranno avere il sopravvento, “non praevalebunt”». Crediamoci, dunque, tornando a “celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni”, così come chiede il Santo Padre nella Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Summorum Pontificum: soltanto così potrà finalmente “manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all'antico uso”.

martedì 3 luglio 2012

Monopoli: un giorno con Maria




Chiesa San Francesco d’Assisi  
Largo Plebiscito 15- Monopoli (Ba)
Sabato 7 Luglio 2012
15.00  Proiezione di un filmato a colori sulla storia di Fatima: I TRE PASTORELLI
           (Auditorium S. Pietro in Piazza Palmieri, da dove partirà la processione per
           Largo Plebiscito – Chiesa S. Francesco - )
           Benvenuto del parroco Don Vito Maria Schiavone.
           Incoronazione della Madonna.
           Misteri gaudiosi con litanie.
16.00  Esposizione del Santissimo Sacramento. Meditazione Mariana di P. Pietro M.
            Luongo, FI + Processione del SS. Mo Sacramento (in chiesa) + (Coroncina della
           D.M.)
Adorazione silenziosa.
18.00  Misteri Dolorosi. Benedizione Eucaristica. Riposizione del SS. mo  Sacramento.
19.00  S. Messa solenne: Celebrante: Padre Pietro FI 
            Consacrazione della parrocchia alla Madonna: Parroco: Don Vito
           Ringraziamento dopo la S. Comunione. Imposizione Scapolare Medaglia
           Miracolosa.

    *Durante la giornata: Possibilità  di  confessarsi e      
                                                 lucrare l’indulgenza plenaria