venerdì 27 aprile 2012

Chi si oppone alla riconciliazione della Fraternità San Pio X con Roma si oppone al Papa


di Alessandro Gnocchi – Mario Palmaro

Teologo, liturgista, consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice e delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi, monsignor Nicola Bux, classe 1947, è conosciuto dagli addetti ai lavori soprattutto come “molto vicino a papa Benedetto XVI”. E proprio lui, poco più di un mese fa, ha messo a rumore l’ambiente ecclesiale con una lettera aperta al superiore generale e ai sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da monsignor Lefebvre invitandoli a stringere la mano che Benedetto XVI sta tendendo loro. Gli osservatori ne hanno tratto tutti la conclusione più logica: il Papa vuole fortemente la riconciliazione.

“Vedete” spiega monsignor Bux al Foglio “questa conclusione è al tempo stesso esatta e imprecisa. E’ esatta perché Benedetto XVI vuole questa riconciliazione e pensa che non possa esserci altra soluzione pensabile per la vicenda della Fraternità fondata da monsignor Lefebvre. E’ imprecisa se le si attribuisce un carattere  politico. Non c’è nulla di più lontano dalla mente di questo Papa. Ratzinger è persona che non pensa e non agisce in funzione della politica ecclesiale. Per questo viene spesso frainteso. E tanto più questo vale per la vicenda della Fraternità San Pio X: per lui si tratta solo del definitivo e pieno ritorno a casa di tanti suoi figli che potranno fare il bene della Chiesa”.

Dunque, letture da destra o da sinistra sarebbero monche, ma non sarà facile disinnescarle all’interno della Chiesa stessa. Come dovrebbe porsi un cattolico davanti a un fatto come la riconciliazione tra Santa Sede e Fraternità San Pio X?

“Bisogna rileggere con attenzione quello che Benedetto XVI scriveva il 10 marzo 2009 nella ‘Lettera ai vescovi’ per spiegare le ragioni della remissione della scomunica ai quattro vescovi ordinati da monsignor Lefebvre: ‘Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? (…) Che ne sarà poi?’. Qui c’è il cuore di Benedetto XVI. Ecco, penso che se anche tanti uomini di Chiesa agissero secondo questo cuore non potrebbero che gioire per la conclusione positiva di questa vicenda”.

Forse l’opposizione al volere di Benedetto XVI nasce dal fatto che molti compiono l’equivalenza riconciliazione con i lefebvriani uguale sconfessione del Vaticano II.

“Guardate, il primo ‘accordo’, se così vogliamo chiamarlo, avvenne nel Concilio di Gerusalemme tra San Pietro e San Paolo. Dunque, il dibattito, purché fatto per il bene della Chiesa, non è così scandaloso. Un’altra constatazione: quanti hanno isolato dalla storia della Chiesa il Concilio Vaticano II e lo hanno sopravvalutato rispetto ai suoi stessi intendimenti non si peritano di criticare, per esempio il Concilio Vaticano I o il Concilio di Trento. C’è chi sostiene che la Costituzione dogmatica ‘Dei Filius’ del Vaticano I sia stata soppiantata dalla ‘Dei Verbum’ del Vaticano II: questa è fantateologia. Mi sembra invece buona teologia quella che si pone il problema del valore dei documenti, del loro insegnamento, del loro significato. Nel Concilio Vaticano II esistono documenti dal valore diverso e, dunque, di una forza vincolante diversa che ammettono diversi gradi di discussione. Il Papa, quando era ancora il cardinale Ratzinger, nel 1988, parlò del rischio di trasformare il Vaticano II in un ‘superdogma’, ora, con ‘l’ermeneutica della riforma nella continuità’ ha fornito un criterio per affrontare la questione e non per chiuderla. Non bisogna essere più papisti del Papa. I Concili, tutti i Concili e non solo il Vaticano II, vanno accolti con obbedienza, ma si può valutare in maniera intelligente ciò che appartiene alla dottrina e ciò che va criticato. Non a caso, Benedetto XVI ha indetto ‘l’anno della fede’ perché è la fede il criterio per comprendere la vita della Chiesa”.

Da cattolici, se lasciamo battere docilmente il nostro cuore con quello di Benedetto XVI, che cosa ci dobbiamo aspettare dalla definitiva riconciliazione tra Roma e Fraternità San Pio X?

“Non certo la rivalsa di una fazione sull’altra, ma un progresso nella fede e nell’unità che sono la sola testimonianza perché il mondo creda. La retorica del dialogo con l’ateo, con l’agnostico, con il cosiddetto ‘diversamente credente’ che senso ha se non si gioisce per la riconciliazione con i fratelli nella fede? Ce l’ha insegnato Nostro Signore: non è il dialogo con il mondo che convertirà il mondo, ma la nostra capacità di essere uniti. In questo periodo torno spesso a una preghiera composta dal cardinale Newman: ‘Signore Gesù Cristo, che quando stavi per soffrire, hai pregato per i tuoi discepoli perché fino alla fine fossero una cosa sola, come sei Tu con il Padre, e il Padre con Te, abbatti le barriere di separazione che dividono tra loro i cristiani di diverse denominazioni. Insegna a tutti che la sede di Pietro, la Santa Chiesa di Roma, è il fondamento, il centro e lo strumento di questa unità. Apri i loro cuori alla Verità, da lungo tempo dimenticata, che il nostro Santo Padre,il Papa, è il Tuo Vicario e Rappresentante. E, come in cielo esiste una sola compagnia santa, così su questa terra vi sia una sola comunione che professa e glorifica il Tuo Santo Nome’”.

Tratto da IL FOGLIO del 26 aprile 2012


giovedì 12 aprile 2012

La Liturgia ferita


di Mons. Marc Aillet, 
Vescovo di Bayonne, Francia

All'origine del Movimento Liturgico ci fu la volontà del Papa San Pio X, soprattutto con il motu proprio "Tra le sollecitudini" (1903), che aveva lo scopo di restaurare la liturgia rendendo più accessibili le sue ricchezze, tornando ad essere la fonte di una vita autenticamente cristiana, mettendo in guardia dal pericolo di una crescente secolarizzazione ed esortando i fedeli a consacrare il mondo a Dio. Da qui nasce la definizione del Concilio Vaticano II sulla liturgia quale "fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa".
Contro ogni aspettativa, come hanno spesso dichiarato il Beato Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, la realizzazione della riforma liturgica ha talvolta condotto a una sorta di sistematica desacralizzazione, permettendo che la liturgia venisse sempre più pervasa dalla cultura secolarizzata del mondo circostante, perdendo così la sua propria natura e identità: "Questo Mistero di Cristo la Chiesa annunzia e celebra nella sua Liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1068).
Senza negare i veri frutti della riforma liturgica, si può dire comunque che la liturgia è stata ferita da quelle che Giovanni Paolo II definì "pratiche non accettabili" (Ecclesia de Eucharistia, n. 10) e Benedetto XVI ha denunciato come "deformazioni al limite del sopportabile" (Lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del Motu proprio 'Summorum Pontificum'). Ne risultarono feriti anche l'identità della Chiesa e il sacerdote.
Negli anni post-conciliari, abbiamo assistito a una sorta di opposizione dialettica tra i difensori del culto liturgico e i promotori dell'apertura verso il mondo. E poiché questi ultimi finivano per ridurre la vita cristiana a soli sforzi sociali, basandosi su un'interpretazione secolare della fede, i primi, per reazione, si rifugiavano nella pura liturgia fino al punto del "rubricismo", col rischio di spingere i fedeli a proteggersi eccessivamente dal mondo.
Nell'Esortazione Apostolica 'Sacramentum Caritatis', Papa Benedetto XVI mette fine alla controversia e unifica tale contrapposizione. L'azione liturgica deve riconciliare fede e vita. Proprio come la celebrazione del Mistero pasquale di Cristo realmente si attualizza in mezzo al suo popolo, la liturgia dà forma eucaristica all'intera vita cristiana rendendola "un'offerta spirituale a Dio gradita". Pertanto, sia l'impegno dei cristiani nel mondo che il mondo stesso, sono chiamati a consacrarsi a Dio mediante la liturgia. L'impegno dei cristiani nella missione della Chiesa e nella società trova infatti sorgente e impulso nella liturgia, fino a venire attirati nel dinamismo dell'offerta dell'amore di Cristo che ivi si rende presente.
Il primato che Benedetto XVI intende dare alla liturgia nella Chiesa - "Il culto liturgico è l'espressione suprema dell'esistenza sacerdotale ed episcopale", egli disse ai vescovi di Francia riuniti a Lourdes in Assemblea Plenaria straordinaria il 14 settembre 2008 - è tale da ricollocare l'adorazione al centro della vita del sacerdote e dei fedeli. Invece e al posto del "cristianesimo secolare" che ha spesso accompagnato la realizzazione della riforma liturgica, Papa Benedetto XVI intende promuovere un "cristianesimo teologico", l'unico capace di servire quella che egli ha definito essere la priorità in questa fase storica, cioè "rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l'accesso a Dio" (Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica, 10 marzo 2009). Dove infatti meglio che nella liturgia, il sacerdote approfondisce la propria identità, eccellentemente definita dall'autore della Lettera agli Ebrei: "Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati" (Eb. 5, 1)?
L'apertura verso il mondo richiesta dal Vaticano II è stata spesso interpretata, negli anni successivi al Concilio, come una sorta di "conversione alla secolarizzazione". Tale atteggiamento non mancava di generosità, ma portava ad oscurare l'importanza della liturgia e a minimizzare l'osservanza dei riti, considerati troppo distanti dalla vita del mondo che doveva essere amato e col quale occorreva entrare in piena sintonia, fino ad esserne affascinati. Ne è risultata una grave crisi d'identità del sacerdote, il quale non riusciva più a percepire l'importanza della salvezza delle anime e l'obbligo di annunciare al mondo la novità del Vangelo di Salvezza.
Indubbiamente, la liturgia è il luogo privilegiato per approfondire l'identità del sacerdote, che è chiamato a "combattere la secolarizzazione" poiché, come il Signore Gesù dice nella sua preghiera sacerdotale: "Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità" (Gv. 17, 15-17).
Ciò sarà certamente possibile con un'osservanza più rigorosa delle norme liturgiche che preservano il sacerdote dal desiderio, anche inconscio, di attirare l'attenzione dei fedeli sulla sua persona: il rituale liturgico che il celebrante è chiamato a ricevere filialmente dalla Chiesa, permette infatti ai fedeli di accostarsi più facilmente alla presenza di Cristo Signore, di cui la celebrazione liturgica è segno efficace e che sempre deve essere al primo posto.
La liturgia è ferita quando i fedeli sono lasciati all'arbitrarietà del celebrante, alle sue stranezze, alle sue idee personali od opinioni, alle sue stesse ferite. Ne deriva l'importanza di non banalizzare i riti poiché, strappandoci dal mondo secolare e dunque dalla tentazione d'immanentismo, essi hanno il dono di farci immergere subito nel Mistero e di farci aprire al Trascendente.
Al riguardo, non si sottolinea mai abbastanza l'importanza del silenzio che precede la celebrazione liturgica, come in un santuario interiore, nel quale siamo liberati dalle preoccupazioni - anche legittime - del mondo secolare, ed entrare nello spazio e nel tempo sacro dove Dio rivela il suo Mistero; non si sottolinea mai abbastanza l'importanza del silenzio nella liturgia per divenire più disponibili all'azione di Dio; e ancora non si sottolinea mai abbastanza la necessità di un tempo congruo per il ringraziamento, integrato o meno con la celebrazione, per cogliere intimamente la portata della missione che ci attende, una volta tornati nel mondo. L'obbedienza del sacerdote alle rubriche è anche in sé un segno eloquente e silenzioso del suo amore per la Chiesa, della quale egli non è che ministro, anzi servitore.
Da qui deriva pure l'importanza della formazione nella liturgia dei futuri sacerdoti, e specialmente nella partecipazione interiore, senza la quale la partecipazione esteriore invocata dalla riforma, sarebbe senz'anima e favorirebbe una comprensione parziale della liturgia, che si esprimerebbe in termini di eccessiva teatralità dei ruoli, in un cerebralismo riduttivo dei riti e in un'autocelebrazione abusiva dell'assemblea. Se la partecipazione attiva - principio operativo della riforma liturgica - non è l'esercizio del "senso soprannaturale della fede", la liturgia non è più l'opera di Cristo, ma degli uomini. Insistendo sull'importanza della formazione liturgica dei sacerdoti, il Concilio Vaticano II ha fatto della liturgia una delle principali materie degli studi ecclesiastici, evitando di ridurla a una formazione puramente intellettuale. In effetti, prima di essere oggetto di studio, la liturgia è viva, o meglio, "trascende la vita di ciascuno per fonderla con la vita di Cristo". E' l'immersione massima di ogni vita cristiana: immersione nel senso della fede e nel senso della Chiesa, nella lode e nell'adorazione, e nella missione.
Siamo chiamati perciò a un vero "Sursum corda". L'invito del prefazio, "in alto i nostri cuori", introduce i fedeli al cuore dei cuori della liturgia: la Pasqua di Cristo, il suo passaggio cioè da questo mondo al Padre. L'incontro di Gesù risorto con Maria Maddalena la mattina della risurrezione, è molto significativo in questo senso: dicendo "Noli me tangere", Gesù invita Maria Maddalena a "guardare alle cose di lassù", facendole intuire nel suo cuore che egli non è ancora asceso al Padre, e chiedendole di andare a dire ai suoi discepoli che egli deve tornare al suo e nostro Dio, Padre suo e nostro. La liturgia è esattamente il luogo di questa elevazione, del tendere verso Dio che dà alla vita un nuovo orizzonte, il suo decisivo orientamento. Purché noi non la trattiamo come materiale a disposizione delle nostre manipolazioni fin troppo umane, ma osservando, con filiale obbedienza, le prescrizioni della Santa Chiesa.
Come dichiarò Papa Benedetto XVI alla conclusione della sua omelia nella solennità dei SS. Pietro e Paolo nel 2008: "Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo".

Conferenza tenuta presso la Pontificia Università Lateranense, Roma, 11 marzo 2010.
trad. it. a cura di d. Giorgio Rizzieri

sabato 7 aprile 2012

Il Papa indica l'atteggiamento di Gesù durante la preghiera


(dall'omelia del Santo Padre nella Messa del Giovedì Santo)

Il Giovedì Santo non è solo il giorno dell’istituzione della Santissima Eucaristia [...] Fa parte del Giovedì Santo anche la notte oscura del Monte degli Ulivi, verso la quale Gesù esce con i suoi discepoli; fa parte di esso la solitudine e l’essere abbandonato di Gesù, che pregando va incontro al buio della morte; 
[…] dobbiamo rivolgere la nostra attenzione su ciò che gli Evangelisti ci riferiscono riguardo all’atteggiamento di Gesù durante la sua preghiera. Matteo e Marco ci dicono che Egli “cadde faccia a terra”, assunse quindi l’atteggiamento di totale sottomissione, quale è stato conservato nella liturgia romana del Venerdì Santo. Luca, invece, ci dice che Gesù pregava in ginocchio. Negli Atti degli Apostoli, egli parla della preghiera in ginocchio da parte dei santi: Stefano durante la sua lapidazione, Pietro nel contesto della risurrezione di un morto, Paolo sulla via verso il martirio. Così Luca ha tracciato una piccola storia della preghiera in ginocchio nella Chiesa nascente. I cristiani, con il loro inginocchiarsi, entrano nella preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Nella minaccia da parte del potere del male, essi, in quanto inginocchiati, sono dritti di fronte al mondo, ma, in quanto figli, sono in ginocchio davanti al Padre. Davanti alla gloria di Dio, noi cristiani ci inginocchiamo e riconosciamo la sua divinità, ma esprimiamo in questo gesto anche la nostra fiducia che Egli vinca.
[…] dobbiamo ancora prestare attenzione al contenuto della preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Gesù dice: “Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”. La volontà naturale dell’Uomo Gesù indietreggia spaventata davanti ad una cosa così immane. Chiede che ciò gli sia risparmiato. Tuttavia, in quanto Figlio, depone questa volontà umana nella volontà del Padre: non io, ma tu. Con ciò Egli ha trasformato l’atteggiamento di Adamo, il peccato primordiale dell’uomo, sanando in questo modo l’uomo. L’atteggiamento di Adamo era stato: Non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso voglio essere dio. Questa superbia è la vera essenza del peccato. Pensiamo di essere liberi e veramente noi stessi solo se seguiamo esclusivamente la nostra volontà. Dio appare come il contrario della nostra libertà. Dobbiamo liberarci da Lui – questo è il nostro pensiero – solo allora saremmo liberi. È questa la ribellione fondamentale che pervade la storia e la menzogna di fondo che snatura la nostra vita. Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da se stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente “come Dio” – non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo. Nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e aperto la via verso la libertà. Preghiamo il Signore di introdurci in questo “sì” alla volontà di Dio, rendendoci così veramente liberi. Amen.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

martedì 3 aprile 2012

Gli appuntamenti ad aprile con Nicola Bux


mercoledì 4 aprile ore 18:30 Predicazione per la chiusura delle Quarant'Ore, Cattedrale di Barletta.

venerdì 13 aprile ore 18:00 conferenza dal titolo "Venne ad abitare in mezzo a noi". Gesù il Salvatore nostro contemporaneo, Oratorio di Santa Maria in Vallicella, Roma.

mercoledì 18 aprile ore 17:00 conferenza dal titolo "La fede cristiana nel rito dell'Exsultet", Museo Diocesano di Bari.

giovedì 19 aprile ore 18:00 consueto appuntamento su Radio Maria con la rubrica "Chiesa e Liturgia".